La differenza che corre fra queste ultime
composizioni e le altre indicate qui sopra, è
grande, e di qualcuna perfino si dubitò se vi
dovesse riconoscere l’opera di un chierico piuttosto che di un giullare. Dell'influsso
letterario dei chierici
sulla letteratura dei giullari non mancano tracce anche nelle
altre composizioni anteriori, per chi sappia
intuirle; e il fatto si spiega, sia perché - come
già si è detto - nella famiglia dei giullari penetrarono anche i chierici; sia perché molti giullari ebbero contatto con le
scuole e dai libri dei chierici non di rado attinsero materia per
le loro composizioni, in ispecie quando
trattatavasi di argomenti religiosi. Ciò in alcuni
casi si accerta per riscontri che ne troviamo in testi
latini, come già si verificò per la
e per la ; in altri casi
lo troviamo
ci viene
dichiarato esplicitamente dall’autore
medesimo. Così l’anonimo autore della non pretende di aver
composto il suo racconto ex novo, ma nell’esordio
dice che quella storia è già conosciuta fra i Baschi e in Aragona e in
Guascogna; egli la sentì
leggere da chierichetti e da buoni grammatici come
è nella passione che
trovasi nei lezionarj e gli tornò in mente un
giorno che, all’ombra di un pino, sentì leggere un
libro latino dei tempi antichi, dove si parlava di
tutto, in ispecie del padre del re
Licinoe della stirpe di , che
perseguitavano i santi come il cacciatore fa dei
cervi (, 122-3).
Quanto più si discende nel tempo, tanto più
vediamo crescere tali influssi anche per un’altra
ragione. I chierici, dopo
che il volgare della poesia
giullaresca cominciò a trovar favore, non
solamente presso le plebi, ma anche nella società
feudale, in quella casta cioè dove il latino
[più caratteri illeggibili]
di studio
non poteva
fare troppo presa
troppo essere
gradito
, presero anch’essi a coltivare il
volgare. All’opposizione cominciò a sostituirsi la
emulazione, e una prova cospicua di ciò l’abbiamo
nel cosiddetto . /
10
Con tal titolo si designa comunemente un
frammento di un poema ove si prese a verseggiare
la vita di e ad esporre la materia dei
cinque libri del medesimo. Per noi
importa fermarci un istante su la sua
storia esterna di quel frammento. Esso trovasi in
un codice che oggi si conserva nella ma
che anteriormente appartenne alla detta altrimenti l’Abbazia di
Saint-Benoît-sur-Loire, e colà si
ritiene che sia stato scritto. L’abbazia di
Fleury,
fondata nel
VI, vantavasi di possedere il corpo di ivi trasportato
da Montecassino; e così,
arricchita presto da lasciti e da donazioni, era
diventata una delle principali abbazie della
Francia. Nel
X, riformato il monastero di , divenne celebre anche
per la sua scuola e la sua biblioteca, e crebbe la
sua rinomanza
da quando
quando
papa lo
ebbe esentato dalla giurisdizione episcopale
dichiarandone l’abbate capo di tutti gli abati
della Francia, e ne fu eletto abbate
figlio di
re di
Francia,
dopo di essere stato pure là educato. A quell’epoca - scrive il
che
raccolse queste notizie - nella scuola di
Fleury si
contavano, fra religiosi ed esterni, cinque mila
studenti; e poiché ogni studente era tenuto a dare
per onorario o retribuzione due manoscritti
ciascun anno, si comprende di leggieri quanta
ricchezza di libri vi si dovette presto
accumulare. Ora è da quel grande centro di coltura
scolastica che uscì il ,
probabilmente negli stessi anni in cui là si
trovava il figlio di , e per questo frammento vediamo
il provenzale cominciare a prender posto accanto
al latino anche in uno dei principali istituti
d’educazione di quella età. Notevole in esso è la
purezza della lingua quale si ritroverà più tardi
soltanto nell’uso trovadorico; notevole /
11
ancora la forma poetica, che è quella propria
delle chansons de geste, con
la differenza però che invece dell’assonanza qui
già si trova adoperata quasi senza eccezione la
rima piena. Nel contesto l’anonimo autore si
rivolge agli enfantz e
con questo appellativo ci fa sempre meglio
conoscere la classe di persone a cui l’opera sua
fu destinata. Un altro frammento, pure dell’XI
secolo, proveniente da altra parte della
Francia
meridionale, mette anche più del in evidenza la emulazione che
erasi destata fra i chierici
rispetto alla letteratura volgare, che anzi qui si
afferma decisamente l’antagonismo. L’autore è un
monaco, che da altre fonti risulta essersi
chiamato
ed essere stato nativo di Besançon o di
Briançon.
Ora questo monaco imprende a narrare storia di
quale già correva nella letteratura bizantina e
romana degli ultimi secoli, e pervenuto a un punto
che
per
a
lui pareva controverso, quello cioè dei genitori
dell’eroe, se n’esce in queste parole: Alcuni trovadori dicono che fu figlio di un
incantatore; ma quei felloni perfidi adulatori,
lusingatori, mentiscono e fareste male a credere a
uno solo di loro…ecc. Notevole in questo passo la
menzione dei trovadori che
qui
[più caratteri illeggibili]
s’incontra
per la prima volta confondendo i trovadori coi
giullari o piuttosto
scambiandoli. Allora dovevano già vivere i
trovadori
e ; ma nulla permette di
credere che essi abbiano cantato le gesta di
.
Meno inverosimile che ne fosse già stato cantato
da qualche giullare. Certo è
che della poesia profana dei giullari di quei secoli andò quasi tutto
perduto, quantunque essa deb/
12
ba essere stata già copiosa forse che non
quella di carattere religioso. In ispecie le
romanze, le danze o canzoni a ballo e le chansons, l’histoire o de toile, [più caratteri illeggibili] opere queste indubbiamente giulleresche,
dovettero già circolare nel
XI. Ma, fra quante ne restano, nessuna può dirsi
[più caratteri illeggibili]
anteriore
al
XII, se non forse quelle due francesi che prendono
nome da Erembor e da Orior, e quella provenzale
di cui abbiamo solamente il principio:
El bosc d’Ardena josta l
palais ausor A la fenestra de la plus auta
tor…
Simili canti, di carattere epico-lirico,
furono detti de toile
ossia di tessitrici, perché - come disse il
( §34)- fatti a
sollievo delle lunghe ore di lavoro nei ginecei; e
oggi meglio ancora si spiega quell’appellativo
così speciale che ebbero, dacché sappiamo che fra
tessitori e tessitrici primamente si diffuse
nell’XI secolo il catarismo e con questo
l’aborrimento del latino. Per essi furono fatte le
prime traduzioni volgari della che la chiesa presto
interdisse; per essi furono composti in volgare cantici devoti
e formole religiose che più tardi l’Inquisizione
si studiò in ogni modo di distruggere, e per essi
dovettero prender voga anche le canzoni profane
con cui alleviavano le loro penose fatiche e che
naturalmente andarono perdute nella persecuzione
che li travolse (v. nel Rinnovamento, 1907). Così
per tutto questo periodo che corre dall’VIII alla
fine del
XI, non troviamo da un capo
all’altro delle Gallie
se non poche reliquie, e dobbiamo giungere al
secolo seguente per trovare una letteratura
volgare non più saltuaria e a frammenti, ma
continuata e
[più caratteri illeggibili]
di
tanta ricchezza che mal si spiegherebbe a
confronto del periodo che precede, se non si
tenesse ben conto del profondo
mutamento che intanto era venuto a maturarsi nella Società
al di /
13
là e al di qua della Loira, onde
anche
pur
si ebbero due letterature abbastanza
diverse fra loro non solamente per lingua ma anche
per indole e contenuto. A farsi un’idea di tale
mutamento e del conseguente sviluppo diverso delle
due letterature si cominci dall’osservare le
condizioni politiche delle due regioni. La
Gallia del nord nei secoli
della monarchia carolingia aveva perduto ogni
traccia dell’organizzazione municipale romana,
[più caratteri illeggibili]
e mentre nella
Gallia
meridionale
i signori, benché separati dal popolo,
avevano seguitato a vivere dentro le mura della
città, nel Nord la vita signorile si era ritirata
nei castelli e più dell’altra si era
inselvatichita. Le guerre continue che
imperversarono nel nord durante i secoli IX e X,
non altrettanto turbarono la
Gallia meridionale, ove poi
la tregua di Dio, prima che altrove, cominciò ad
assicurarne a tutti qualche ora di pace a tutti.
Nella educazione militare intanto penetrava
[più caratteri illeggibili]quel sentimento che
farà
fece
sorgere la cavalleria, e questa umanizzava
l’uomo di guerra,
[più caratteri illeggibili]
lo eccitava a
farsi
vindice della giustizia conculcata a
tutore dei deboli e degli oppressi.
Contemporaneamente la legge che pareggiava la
donna all’uomo nella investitura feudale e nella signoria, mutava
le condizioni di lei nella società, ed elevandola
al potere, la rendeva oggetto di ambizioni e di omaggio che, per la
differenza sessuale, diventavano galanteria e
culto. Le eresie che allora spuntano dovunque, dimostrano un
risveglio del sentimento religioso, e mentre gli intelletti più robusti si affinano
portando la discussione su tutto, dalla disciplina
ecclesiastica ai drammi,
[più caratteri illeggibili]
nel popolo
si ravviva l’antico fervore dei
pellegrinaggi. Masse numerose per la Spagna si dirigono a S.
Jacopo di Galizia; per l’Italia a Roma, al Monte Gargano, a
S. Michele di
Puglia; per l’Oriente al Santo Sepolcro.
Lungo i viaggi si alternano canti religiosi e
profani; nelle soste si piglia riposo ascoltando
racconti devoti e non devoti; dopo il ritorno si
celebrano le cose vedute e non vedute, si sveglia
negli uditori la curiosità dei paesi lontani, lo
spirito d’avventura, l’avidità delle grandi
rapine. Fra il 1016 e il 1047 abbiamo l’espansione
dei Normanni nelle /
14
Puglie e
nella Sicilia; nel 1066 altri Normanni e
francesi muovono alla conquista dell’Inghilterra; nel
1086
principe di Borgogna, con un manipolo di
cavalieri va in soccorso di e lo aiuta a
riprendere Toledo
ai Mori; nel 1093 va con
altri francesi in Portogallo e compie altre imprese
contro i Mori. Finalmente nel 1095 comincia il
movimento delle Crociate; ed ecco che in poco
tempo quella nazione rozza e immiserita ch’era la
Francia del
nord e con essa l’Aquitania ch’era in condizioni
assai più prospere, vengono a contatto di altri
popoli, di altre civiltà, di altri costumi, e
dall’Italia,
dalla Spagna,
dalla Grecia,
dalla Palestina, da tutto l’Oriente
traggono nuovi
elementi di progresso. Di tale progresso
sorprendiamo subito segni manifesti
nell’architettura. Alla romana è giù succeduta la
romania con
[più caratteri illeggibili]
tratti
propri ma che pur seguita ad essere
caratterizzata dall’arco a centro pieno. Ma essa
prende proporzioni più vaste; nella costruzione
delle volte si mostra più ardita; le torri, prima
destinate alla gaite e alle scolte, poi alle
campane, fiancheggiano e dominano l’edifizio. S.
Stefano a Nevers, S.Ilario a Poitiers, S. Trofino
ad Arles, la
Catedrale ed Angoulême offrono i più antichi
esempi di questa architettura degli ultimi tempi
feudali che riconosce il suo prototipo nel
Monastero di Cluny cominciato nel 1089. In questa
architettura gli stati furono i primi architetti,
i monaci i primi decoratori, che arricchivano l’opera loro di
sculture e [più caratteri illeggibili] pitture. Ma
col
XII l’arte passa al laicato e in questa nuova fase
trova una forma nuova, detta l’arte ogivale. Essa si contrappone alla
romanica con l’arco a sesto acuto, formato da due
archi a centro pieno che si rinforzano
incontrandosi e incrociandosi. Sorprende il vedere
qual profitto seppe trarre la nuova estetica da
uno spediente dapprima non ad altro inteso che a
fortificare le volte. Nulla di più diverso che un
tempio greco o romano da una chiesa ogivale. La
prima differenza è nelle proporzioni. Il Partenone
di Atene
occupa 4000 metri di superficie (Rambaud, p. 384),
le cattedrale di Amiens ne occupa 7000!
Capitolo II.
I
1. Col
XII s’inizia per la Provenza - siccome avviene pure per
la Francia
del Nord - un nuovo periodo, e questo di piena
attività in tutte le branche della letteratura da un capo all’altro della
regione.
Epica e lirica, didattica e
drammatica si elevano dagli
umili saggi dei secoli precedenti, e la lirica in ispecie assume tale
originalità e assurge a tanta altezza da prender
posto nella storia dell’incivilimento moderno non
solo per aver fornito, siccome notava il
Langlade, i primi modelli
della poesia d’arte a tutte le altre nazioni
d’Occidente, ma anche per aver dato il primo
esempio di elevazione delle
primitive
povere
favelle dialettali adoperate dai giullari, e così aver creato il primo
idioma letterario che risonasse in Europa dopo la caduta di
Roma.
2. Ciò Può parere strano che ciò [più caratteri illeggibili]avvenisse in un momento in cui la rinnovata
letteratura latina
vigoreggiò maggiormente, e mentre affiorava tutto
il portato della cultura scolastica ravvivatasi da
in poi. /
2
Allora, oltre i monasteri divenuti sempre più
numerosi e ricchi, concorrevano le università a
favorire la espansione del nuovo latino. [più caratteri illeggibili]. Nei chiostri portava la sequenza al
suo ultimo sviluppo, la ornava dola di tutti gli
abbellimenti di cui fu capace l’arte ritmica e la sollevava
dola alle maggiori altezza del
misticismo; dalle Università uscivano poemi come
di
in cui
[più caratteri illeggibili]
felicemente imitò
; Apologhi e
Commedie che lungamente circolarono con i libri di
, di
e di altri
classici e uscivano anche
i canti goliardici, che all’improvviso
parvero richiamare l’umanità dai torpori dell’ascetismo
alle gioie e alle tempeste della vita terrena, e
nella varietà lussureggiante delle loro forme
poetiche, nella scioltezza realistica del loro
linguaggio, nella arditezza delle loro parodie,
[più caratteri illeggibili]
sonavano
come il preludio di un’era nuova.
/
3
Ma il latino aveva fatto il suo tempo, aveva
compiuta la sua gloriosa missione. Poté seguire a
vivere e anche a gettar fiori in mezzo alla casta
che più si era appartata dalla nazione, la casta
degli ecclesiastici e degli scolastici; ma alla
nazione non poteva bastar più una
linguaggio
fittizia
raffazonata
e imparaticcia. A sentimenti nuovi
abbisognava una lingua nuova che avesse la sua
base
in un
nell' uso
linguaggio
idioma reale, quello vivente sulle
labbra del suo popolo. Questo diedero i
trovadori al popolo della
Gallia meridionale; e ben
si comprende com’essi furono gli autori di tale
rinnovamento, quando si consideri che i primi di
loro usciron tutti dalla casta feudale, la più
refrattaria per educazione e per costumi alla
coltura scolastica, e perciò anche la meglio
disposta a secondare l’uso
comune e perfezionarlo, compiendo l’opera dai
giullari iniziata attorno
alle fa loro famiglie, nel seno delle
loro magnade. Così i trovadori, non solamente per ragione
cronologica, ma anche per la maggiore loro
importanza, primi debbono entrare nella storia di
questo periodo. /
4
3. A conoscere i trovadori e le loro opere oggi soccorrono
circa quaranta
quarantasei
manoscritti
(
TAP. col X, r. 50 e 55.), dai quali si raccolgono
oltre 4000 poesie spettanti a circa quattrocento
autori. Di quasi un altro centinajo,
[più caratteri illeggibili]
o poco meno
, di autori non
conosciamo
rimane
più che il nome. E se si pensa che dei
mss. conservatici nessuno
[più caratteri illeggibili]
risale più
su
della
fine
2.ᵃ metà
del
XIII; che appena due di essi provengono
direttamente dalla Provenza, laddove gli altri sono
quasi tutti d’origine italiana; che nessuna poesia trovadorica è pervenuta a
noi in rotoli o in quaderni,
che dovettero essere le prime forme su cui
circolarono quelle poesie
cioè nella forma in
cui esse primamente circolarono,
s’intuisce
facilmente
que
che
molto dovette andare perduto; nel che,
oltre la voracità del tempo, dovettero avere non
poca parte gli sterminj della guerra albigese durata dal (1209 al 29),
[più caratteri illeggibili] i terrori della S.
Inquisizione fondata in Provenza nel 1232, le scomuniche
lanciate contro la lingua stessa provenzale
[più caratteri illeggibili]
da due papi
, se è esatto quanto riferivano il
e
l’Oddo. Non a torto
quindi
cominciava il suo aureo libro intorno alla poesia
dei trovadori con queste
parole: I primordi della storia dei trovatori si nascondono sotto il
velo che ricopre i primi tempi storici.
[più caratteri illeggibili]
/
5
4. Anche la storia dei trovadori pertanto ci viene innanzi
oggi a frammenti, massima pei primordj;
quantun
ma
non così che non sia dato almeno d’intravedere
quanto di più può interessare circa la loro
origine. Tra la fine del
XI e il principio del XII vediamo un
pro centro di attività trovadorica formarsi
nell’Aquitania alla corte
di quei duchi; un altro poco dopo appariva a
Narbona
nella corte della viscontessa (1143-1192)
,
contemporaneamente
nello stesso tempo
poco dopo
altri se ne formano presso i conti di
Provenza
(1185-1245) presso quelli di Tolosa (1148-1194),
presso i visconti di MPellier (1172-1204), presso
visconte di
Marsiglia
(circa 1180-1192), presso signore d’Orange
(1182-1219), presso (1169-1234)
presso i conti di Rodez (1274-1302), e via via altri
centri formarsi nella Spagna in Catalogna, in Aragona, in Castiglia,
nell’Italia
presso il Marchese (1192-1207) di Monferrato e presso
quelli d’Este (1196-1264).
allo stesso tempo e successivamente
altri simili centri,
ne vediamo formarsi presso i conti di
Tolosa
(1148-1194),
" (1169-1234)
" i Visconti di Montpellier (1172-1204)
" i Visconti di Marsiglia (1180-1192)
" i Visconti d’Orange
(1182-1219)
" i Conti di Provenza (1185-1245)
senza dire di altri centri minori, taluno
dei quali antichissimo, come quello di nel Limosino
intorno al quale non ci
restano che alcuni ricordi.
/
6
Accanto a questi, che furono
in Provenza
nella
Gallia meridionale
i centri principali della poesia trovadorica, altri se
n’ebbero minori, siccome quello antichissimo dei
Visconti di Ventadorn, intorno il quale non
restano se non alcuni ricordi. 5. Ma chi furono
propriamente i trovadori? in
che modo essi si distinsero dai giullari? Trobaire,
tro
bador fu in
un derivato di trobar, antico
trovare che significò non poetare solamente ma
significò insieme che adoperavasi nel significato
non solamente di “poetare insieme a musicare”. Frequente è nelle loro
poesia ma insieme anche d’ “inventare” o
“invenire”, come il vento di saper comporre bella
musica non dicevasi del nuovo latino, e inventare
meno che bei versi
bador fu in
un derivato di trobar,
verbo che significò non poetare soltanto , come
l'
.
trovare, ma significò
“poetare insieme e musicare” insieme.
Fra le spiegazioni finora date dell’etimologia di
questo verbo che non è
nell'
latino, la più accettabile è parsa quella di
, il quale
derivò trobar da tropare, cioè comporre tropi, che
erano formole di poesie liturgica destinate al
canto. In questo senso nulla di più /
7
proprio poteva [più caratteri illeggibili] darsi a
designare l’opera dei trovadori. Ed essi frequentemente menavan
vanto della duplice qualità di poeti e di
musicisti, come per altri di loro fu nota di
deficienza il saper comporre buoni versi senza
saperli masticare, o saper fare buona musica senza
unirvi buoni versi. /