Nozioni generali di filologia romanza pel momento presente.
Il momento che attraversiamo è tale che tutto sembra alienarci dagli studi,
specialmente da quelli a cui è destinata quest’aula in quest’ora.
Ma se si considera che filologia romanza e studio delle nostre antichità
nazionali sono una stessa cosa, il pensare a questa materia deve parerci
tutt’altro che intempestivo in questo momento.
/
Il grido d’allarme che si è sollevato nel dominio degli studi classici,
fortunatamente non può ripetersi per noi, perché negli studi nostri l’Italia
da parecchi anni s’è desta e ha prodotto non poco per far contare all’estero
la sua parte. Ma non fu fatto abbastanza; moltissimo resta da fare e oggi,
lo ripeto, dobbiamo cominciare da una rassegna di quello che fu fatto e di
quello che resta da fare.
Prima di tutto: quali sussidi avevamo finora per acquistare una notizia
generale della filol. rom. e delle varie parti in cui essa si divide?
Manuale del del
(sic.) del
Loro principali
difetti, necessità di adattamento alle nostre scuole. Quel che si era
cominciato a fare….
/
Perciò se fino a jeri bastavano alcuni cenni generali intorno alla filol.
romanza, oggi abbisogna qualche cosa di più: oltre quello che si è fatto,
oggi importa sapere anche quello che resta da fare. Perché? Perché, se in
passato si lasciò fare su le cose nostre molto agli stranieri, oggi non è
più lecito che ci rassegniamo a questo disinteressamento, a questa
acquiescenza. Ciò che riguarda le cose nostre, non dobbiamo più farcele
insegnare dagli altri. Dobbiamo noi essere i primi a insegnarlo, e si deve
sapere che chi vuol lavorare, chi non può trovarsi là dove si combatte per
la patria, troverà un altro campo ove potrà farsi onore anch’esso. La guerra
oggi si combatte non solamente con le armi, ma anche con la scienza. La
Germania ce l’insegna. L’Italia deve conquistare molto anche in questo
campo: deve riguadagnare il tempo perduto, deve fronteggiare l’opera
straniera che in avvenire s’intensificherà più che in passato. Si guardi
agli studi tedeschi su la Francia dal ’70 in poi.
/
Nozioni generali di filologia romanza.
Questa seconda parte del nostro corso la dedico alle nozioni generali intorno
alla filologia romanza; e quest’anno intendo di trattarne meno succintamente
che negli anni passati, perché, oltre la ragione che, per avviarsi nello
studio della materia nostra il miglior modo è conoscerne la storia, oggi si
aggiunge un’altra ragione: quella che con l’anno testé
spirato s’è chiuso tutto un periodo nella storia della filol. romanza, e
con l’anno che comincia si sta per entrare in
un periodo nuovo. Utile dunque più che mai tirare oggi la somma dei
progressi conseguiti fino a jeri. Soltanto così noi potremo più sicuramente
e più speditamente rivolgerci verso l’avvenire e sapere quali sono i
problemi alla cui soluzione giovi meglio indirizzare gli studj futuri; e
questo dico soprattutto perché, se fino a ieri si poté
in Italia guardare questi studi con freddezza e anche / con
disinteressamento, omai si dovrà riconoscere che, seguitando a lasciar fare agli stranieri ciò che dovrebb’esser fatto
da noi, ne verrebbe danno e vergogna al nome italiano.
Non si creda che la guerra distoglierà omai la Germania dagli studi nostri.
Noi vedremo anzi questi studi intensificarsi colà, come vi si
intensificarono gli studi francesi dal 1870 in poi. Né ciò deve
meravigliare. Oggi la guerra si combatte non solo
con le armi ma anche con la scienza, ed è stata
proprio la Germania a darne un insegnamento.
Quanti dunque non hanno la fortuna di trovarsi oggi là dove si combatte per
la riconquista dei nostri confini naturali, pensino e si consolino che anche
a loro è riser/vata un’altra e non piccola parte di questa
guerra, quella di fronteggiare la invasione scientifica. Questo è il compito
della generazione che ora sorge, e a questo compito deve prepararla la
scuola italiana.
Da «Utile dunque» a «[…] con freddezza e anche» la carta è interessata da
segni di penna verticali a indicare una probabile espunzione. Gli stessi
segni non proseguono però nelle due carte successive, dove il ragionamento
prosegue in continuità con il testo della parte espunta.
/
Se in tutte le scienze è ormai riconosciuto che studiarne la storia porge il
migliore avviamento ad apprenderne la dottrina, ciò torna tanto più utile
nella filologia, la quale è essenzialmente una scienza storica e nei diversi
modi con cui la storia fu compresa si trova la ragione de’ suoi errori, del
suo sviluppo e del suo progredire. Oggi poi a questo motivo d’ordine
generale un’altro (sic.) se ne aggiunge tutto speciale e proprio del momento
che attraversiamo. Gli è che, come in altre contingenze, anche nella
filologia con l’anno che è spirato, s’è chiuso un periodo e sta per
cominciarne un nuovo. Ora, in questo momento noi ci troviamo di fronte ad
incognite che non possono non debbono lasciarci indifferenti.
Fino a jeri gli studj romanzi, cioè gli studi su le nostre antichità
nazionali, dopo essersi rinnovati in Germania, progredirono sì per opera
italiana, ma non tanto che oggi non sia doveroso / riconoscere una grande
parte anche alla collaborazione straniera. Domani non dovrebbe essere più
così. I progressi della scienza su le cose nostre dobbiamo promuoverli noi.
Se stranieri ci prevenissero, l’Italia n’avrebbe vergogna e di quella
vergogna la colpa ricadrebbe su noi. Domani non sarà più come jeri, che la
priorità dell’iniziativa aveva conferito quasi un dritto (sic.) agli
stranieri di seguitare a lavorare i campi nostri, dritto avvalorato dalla
nostra acquiescenza e spesso anche dalle nostre rinuncie (sic.) e dal nostro
gradimento. Quel dritto ormai è caduto con la guerra che oggi si combatte;
ma ciò non impedirà, né noi avremmo ragione d’impedirlo, / che gli
stranieri seguitino a studiare su le cose nostre. Possiamo anzi esser certi
che, in Germania specialmente, gli studi su l’Italia s’intensificheranno,
come s’intensificarono gli studi della Germania su la Francia dal 1870 in
poi.
Le guerre, le lotte fra popoli e popoli, oggi non si combattono più soltanto
con le armi; ma si combattono anche con i commerci e soprattutto con la
scienza, e dalla Germania ne abbiamo i maggiori esempi.
Noi dunque, quanti ci troviamo oggi lontani dai nostri fratelli che pugnano
per la redenzione delle ultime terre italiane, dobbiamo pensare che quella
redenzione non sarà completa prima che ne’ vari dominj della scienza non si
sia conseguito altrettanto di quello che attendiamo dalle armi.
/
Incipit vita nova
Quanti non ebbero la fortuna di prender parte a questa santa guerra che
integrerà l’Italia, debbono oggi pensare che anche a loro è riservato un
grande compito, e se mancassero di adempirlo, si renderebbero indegni di
quei fratelli che per la redenzione della patria fecero olocausto della loro
vita.
Quale sarà questo compito?
Riparare della guerra il danno immenso patito;
promuovere la restaurazione economica del paese e cooperare alla sua
emancipazione e al recupero della sua indipendenza nelle industrie, nelle
arti, nel commercio. In tutto ciò finora restammo soggetti alle nazioni
straniere. Finita la guerra, dovremo dire a noi stessi: incipit vita nova.
/
Ho trovato sempre utile nei miei corsi far entrare una qualche nozione sulla
storia della filol. romanza; ma quest’anno ciò credo non solamente utile, ma
necessario. Anche pei nostri studi col 1915 si è chiuso un periodo storico,
e dall’anno ch’è ora entrato se ne comincerà un altro. Per orientarci
dinanzi alle incognite dell’avvenire, importa ricordar bene quello che
finora s’è fatto, e non meno importante sapere quanto non s’è fatto, quanto
ancora resta da fare.
1) In tutte le discipline lo studiare la storia porge il migliore avviamento
per apprenderne la dottrina.
Nell'interlinea, sopra la parola «per» («per apprenderne [...]») è
presente la variante «ad».
/
che inaugura –
come già dissi – il secondo periodo, il periodo scientifico degli studj
neolatini, ci presenta nella molteplice varietà delle sue opere delineato
quasi per intero il vasto piano della filologia romanza intesa, nel più
ampio senso della parola, come appunto l’aveva intesa per il mondo classico
.
Lingue e letterature, grammatica e lessicologia, ritmica e versificazione,
critica paleografica e critica esegetica; archeologia medioevale, arte
costumi e istituzioni politiche della età di mezzo, tutto abbracciò colla
sua mente vasta e comprensiva ingegno robusto e tenace e con
quella operosità costante che, cominciata al 24° anno della sua vita, cessò
soltanto col cessare di questa; cioè circa 52 anni più tardi.
Egli era nato a Giessen nel 1794 e là
attese nel ginnasio ai suoi studj di filologia classica fino al 1813, in cui
prendendo parte alla guerra contro i Francesi si arrolò in un corpo franco
dell’Assia. Terminata la guerra che gli aveva fatto fare il suo primo
viaggio a Parigi, si rivolse agli studj
della giurisprudenza e poi a quelli delle lingue e delle letterature moderne
che compì a Gottinga.
/
Durante questo tempo, attratto dalla fama di , volle conoscerlo, e nel 1818 si recava a visitarlo a
Jena. Fu là che egli ricevette da lui
l’impulso decisivo per la sua carriera futura ed ebbe anche l’idea del suo
primo lavoro filologico.
Goethe il poeta, anzi lo spirito classico per eccellenza, era
stato colpito dalla poesia dei trovatori provenzali che il allora veniva
rischiarando di nuova luce. In quella poesia egli forse sentiva o almeno
presentiva, non una deviazione dagli studj classici, ma un nuovo elemento che poteva ravvicinare la civiltà germanica alla
civiltà latina, elemento che non era stato ancora tutto compreso.
Così lo stimolò ad approfondire meglio che non fosse stato fatto sino
allora la poesia medioevale dei popoli del Mezzogiorno.
E in quello stesso anno il Diez pubblicava il primo saggio dei suoi studj;
che non fu un lavoro critico sulla lirica dei trovatori, ma una serie di
tradizioni poetiche di antiche romanze spagnole.
Quella poesia semplice e rozza, ma fresca vivace e piena di energia, lo
avevano (sic.) empito di entusiasmo. Ed egli volle farla / gustare ai
suoi connazionali, come già aveva fatto gustare la poesia sul Cid. Ma mentre
Herder se l’era appropriata, come poco dopo fece anche (sic.) in Portogallo per altre tradizioni
antiche della penisola iberica, il Diez più lealmente si contentò di
presentarsene come semplice traduttore.
Per poco però egli si appagò di questa forma di volgarizzamento della poesia
medioevale; e più tardi, parlando della lirica dei trovatori portoghesi –
non più difficile a intendere delle romanze spagnole – uscì nella sentenza
che quelle composizioni si riesce a interpretarle e anche a gustarle, ma
sono intraducibili.
Un secondo lavoro che egli dava a luce nel 1825, mostrò appieno il nuovo
indirizzo del suo spirito in questo ramo di studj. Per far gustare la
vecchia poesia egli non si curò più di darle forma e colorito moderno – come
si vuol sempre nelle traduzioni artistiche -; ma suo unico pensiero fu di
ricostruire l’ambiente che aveva prodotto quella poesia e di portarvi dentro
la famiglia dei lettori che avessero voluto gustarla davvero.
/
Così venne in luce la sua memoria , stampata nel 1825 in Berlino, la quale
aveva per iscopo di illustrare le cosiddette Corti
d’Amore.
Le Corti d’Amore rappresentavano infatti gran parte di quell’ambiente poetico
entro cui si era svolta la lirica dei trovatori. Erano in certo modo la
lizza, il campo chiuso, nel quale erano discesi a provocarsi e a misurarsi i
campioni dell’arte nuova. Importava dunque non poco, prima di addentrarsi
nello studio della poesia trovatoresca, chiarir bene la natura e definire il
concetto di queste corti, delle loro attribuzioni, e, in una parola, della
loro realtà storica.
Molti ne avevano di già scritto e nessuno ne aveva fino allora dubitato: ma i
critici non erano troppo concordi fra loro stessi nel determinarne il
valore, e lo scopo. Secondo alcuni queste Corti erano istituzioni d’indole
letteraria, secondo altri sarebbero state essenzialmente politiche, e nella
discussione avevano preso parte, dopo gli antichi come Nostradamus e , / anche dei moderni quali , , Raynouard, .
Raynouard in ispecie aveva dedicato a questo soggetto una bella parte del
vol. II del suo e quel discorso, pieno
di citazioni e di antichi documenti, si divideva in tre parti, la prima
delle quali era intesa a dimostrare la esistenza delle Corti d’Amore; nella
seconda si esponeva il loro organismo, ossia la loro composizione e le
formalità che vi erano stabilite; nella terza si faceva una rassegna delle
materie che vi erano trattate.
Questo lavoro condotto con quella abilità e sagacia che distingueva il Rayn.,
sembrò aver risoluto per sempre tutte le questioni che si erano agitate
intorno alle Corti d’A. e le conclusioni di lui furono accolte non solo nel
campo della letteratura d’arte, ma ancora fa (sic.) gli storici.
Ebert massimamente, ne fu così colpito, che credette scorgervi tutta la
fondamenta di un sistema d’incivilimento che si sarebbe cominciato ai tempi
della 1a crociata e svolto nei secoli successivi.
(v. Diez, p. 29)
/
Questa interpretazione di Ebert veniva a determinare nella storia del medio
evo quasi un nuovo ed importantissimo fattore, attivo non meno
nello svolgimento della civiltà che della letteratura.
Il Diez dunque sentì subito quanto era necessario veder chiaro su tale
questione, e la sua memoria ebbe per iscopo di prendere ad esame tutte le
autorità e le testimonianze sulle quali eransi fondati quanti fino allora
avevano trattato delle Corti d’A.
Il metodo positivo che egli inaugurò in questo studio, diede subito occasione
di far sentire quanto tale metodo sovrastava a quello dei predecessori suoi
per la sicurezza dei risultati a cui conduceva. E se le conclusioni del Diez
sulle C. d’A. di poi sono state in parte modificate, ciò avvenne non per
errore in lui di giudizio, ma a cagioni di altri documenti, a lui ignoti,
che sono stati scoperti più tardi.
Collo stesso metodo si volse allo studio dei trovatori provenzali - italiani- portoghesi – ….
/
Quando il Diez si volse a studiare comparativamente la grammatica delle
lingue romanze, egli ne trovava già non solo un primo abbozzo nell’opera del
Raynouard suo emulo, ma anche trovava tutta una scienza nuova, la quale
applicata agli studj grammaticali li aveva rinnovati da capo a fondo.
Questa nuova scienza era la linguistica o glottologia, e i suoi fondatori
erano stati , , , ,
e Larsen e Burnouf e altri.
Prima di costoro di scienza del linguaggio non è il caso di parlare. Il
grande problema delle origini del linguaggio (di storia non si poteva
propriamente parlare perché il concetto della evoluzione graduale e
progressiva non era stato nemmeno messo in discussione); prima di costoro,
dico, quel problema era stato posto press’a poco in questi termini: in qual
modo l’ebraico aveva dato nascimento a tutte le altre lingue umane? – Posto
malamente il problema, non c’era stato modo di risolverlo.
Primo il filosofo si rivoltò contro
il postulato della priorità assoluta dell’ebraico ed esortò a ristudiare la
questione secondo i principii delle scienze esatte.
/
Allora si cominciarono a raccogliere materiali comparativi in gran copia da
tutte le parti del globo, e l’impulso di e di , come i lavori colossali del gesuita spagnolo
sono memorabili in questo periodo
di preparazione.
E intanto la scoperta o piuttosto lo studio più accurato dell’antico indiano
quale appariva nel volume sacro dei Veda, veniva a porre accanto al latino
ed al greco un altro idioma, invece dell’ebraico, la cui singolare ricchezza
e trasparenza delle forme, messa a riscontro dei due idiomi classici,
permise di scorgere senza troppa fatica un nuovo termine di comparazione che
doveva essere fecondo di tutte le scoperte posteriori.
Federigo Schlegel nel suo libro pubblicato nel 1808
in Heidelberg, si sforzò per il
primo di dimostrare come non solo il latino ed il greco, ma anche il gotico
e il persiano, il celtico, l’armeno e lo slavo avevano fra loro una
parentela più stretta che non colle altre lingue, e tutte mettevano capo nel
sanscrito, che egli considerava la / lingua madre di tutto questo
gruppo.
Bopp tornò dopo alcuni anni su questo argomento, e riconosciuta anch’esso la
parentela di tutte queste lingue col sanscrito, corresse il giudizio di
Schlegel nel senso che nel sanscrito non era da vedere la lingua madre delle
altre indo-europee, ma soltanto una sorella più antica di esse e diede per
la prima volta una dimostrazione scientifica di questo asserto, tessendo la
grammatica storico-comparativa di tutto questo gruppo d’idiomi.
Allora si vide che questi idiomi avevano comune uno stesso organismo
grammaticale, per cui complessivamente si distinguevano dall’altro gruppo di
cui faceva parte l’ebraico; e si osservò pure che le differenze che
intercedevano fra le lingue dello stesso gruppo, rappresentavano le
variazioni subite da uno stesso tipo idiomatico attraverso il tempo ed i
luoghi. Onde il canone poi ammesso da tutte le scienze naturali, che le
variazioni del tempo si ritrovano nelle variazioni dello spazio.
Da quel momento la comparazione diventò base di qualunque ulteriore studio
linguistico; / e non si volle più la comparazione vaga e sconfinata –
come l’avevano adoperata gli antichi – ma la si volle ristretta entro quel
vasto gruppo di lingue che si veniva studiando erano riconosciute
organicamente più affini. La comparazione poi non si limitò al raffronto dei
vocaboli, ossia del lessico, e delle flessioni grammaticali, quali la
declinazione e la coniugazione, come aveva fatto Bopp; ma si estese ai
singoli elementi della parola, che fu decomposta in tutte le sue parti,
analizzandone ciascun elemento da sé, ossia ciascun suono, e le relative
condizioni di quel suono determinate dalla quantità prosodica.
Questo metodo di analisi minutissima applicato con rigore e su tutto il
sistema grammaticale di un gruppo idiomatico, permise a Giacomo Grimm di
fondare la così detta teoria dei suoni o fonologia, dalla quale apparve non
solo che tutte le alterazioni e trasformazioni delle lingue avevano radice
nella graduale mutazione dei suoni; ma ancora, che i suoni – questi elementi
semplici della parola – si mutavano non a capriccio o casualmente, ma per
effetto di determinate cause, le quali agivano in diversi modi
sull’organismo glottico.
/
Fu in questo periodo dunque dopo l’opera del Grimm, che vediamo
Fed. Diez rivolgere la sua attività alla grammatica del gruppo neolatino, ed
egli si propose di fare in questo gruppo ciò che il Grimm aveva fatto pur
allora per l’altro gruppo degli idiomi germanici.
«Ciò che mi spinse – egli scriveva più tardi a – a intraprendere i miei lavori filologici e che mi
guidò nella esecuzione di essi, fu unicamente l’esempio di Giacomo Grimm.
Applicare la sua grammatica e il suo metodo alle lingue romanze fu lo scopo
che mi proposi. Ben inteso che procedetti in cotesta applicazione con una
certa libertà». (Paris
p. XVI.)
Così egli creava tutta una nuova sezione della grammatica neolatina, che il
Raynouard non aveva nemmeno intravveduta, la fonologia romanza, cioè, che da
indi in poi doveva restare il fondamento di ogni studio grammaticale
ulteriore. (I)
Infatti, come il Grimm scoprì e determinò le leggi che avevano governato la
evoluzione della lingua tedesca, così il Diez mise in chiaro per il primo le
leggi che hanno regolato lo svolgimento della lingua latina.Queste
leggi possono dirsi altrettante manifestazioni diverse di due principali
teorie che sono la: teoria dell’accentoteorie
dell’accento e la teoria della
quantità.
/
Principale fra tali leggi fu quella relativa all’accentuazione. L’accento
della parola latina restò al suo posto nella trasformazione romanza; e la
persistenza della vocal tonica, di quella vocale cioè che, come fu detto,
rappresenti l’anima della parola, è un fatto così generale e
costante nelle lingue neolatine, che bastò questo a conservare
alle forme romanze la effigie materna e a farle distinguere da altre lingue
che avevano appreso molte delle stesse parole dal latino, come la tedesca e
la inglese, le quali modificarono costantemente la originaria accentuazione
latina e così resero quasi irreconoscibili le forme assimilate.
Né solo colla sua persistenza e la sua fermezza l’accento regolò la
trasformazione del latino, ma anche influì alla migliore conservazione delle
sillabe e specialmente delle vocali su cui si posava. E risultò ancora che
la diversa quantità prosodica di una vocale accentata influiva anch’essa a
tramandare ai neolatini quella stessa vocale intatta oppure trasformata in
altra affine.
E questa quantità, come anche la maggiore o minor distanza dalla vocal tonica
influiva sulla esistenza delle vocali vicine prive di accento, le quali, se
brevi e precedenti o seguenti immediatamente alla vocal tonica, andavano per
/ lo più perdute, mentre restavano con suono più debole e talvolta anche
intatte, se lunghe e distanti di due sillabe dalla vocale accentata.
Esistevano dunque rapporti diretti e regolari, rapporti evidentemente di
famiglia tra il vocalismo latino e il neolatino.
E ciò che il Diez scopriva nel vocalismo, veniva a scoprire anche nel sistema
delle consonanti. Anch’esse rispondevano nelle lingue neolatine al
consonantismo latino, e il loro conservarsi, o il dileguarsi o il mutarsi in
altre consonanti affini appariva in serie ben determinate, che variamente si
specificavano e davano ragione di sé stesse appena si ponesse mente ai
diversi gruppi che costituivano nella parola e al posto che occupavano nella
parola medesima.
Così, per esempio, si vide che le consonanti iniziali resistevano
maggiormente che non le interne o le finali. Che i suoni forti latini
tendevano a indebolirsi, e i suoni deboli quasi sempre si dileguavano.
Insomma dentro questa immensa quantità di forme, che sembrano tutte
/ riflettere variamente e a capriccio le forme latine, si vide allora che
i loro elementi ossia i suoni, costituivano un sistema rigorosamente esatto
il quale si era svolto e seguita a svolgersi nei dialetti odierni senza mai
alterare o deviare dalle leggi fondamentali che si scoprirono nel loro
organismo.
Messa in chiaro la teoria di tutto il fonetismo neolatino, il Diez aveva
ritrovata la ragione scientifica delle differenze che passavano tra la
morfologia latina e la romanza.
Non ebbe dunque da far molto in quest (sic.) seconda parte: ma si trattò
soltanto di applicare le leggi già note. La sintassi romanza allora – la
terza parte della grammatica – spiegò per le stesse ragioni (delle
alterazioni dei suoni complicate da quelle delle forme) il perché delle sue
notevoli differenze dalla sintassi latina: e allora apparve in tutta la
maggiore chiarezza ed evidenza dimostrata la derivazione delle lingue
neolatine dalla romana, e il Diez si volse a compiere questo studio col
lessico etimologico.
/
Qui diede meglio a vedere quanto necessario sia al filologo la profonda
conoscenza di tutta la civiltà e la vita interna del popolo che studia: ed
egli affrontando parola per parola la questione della derivazione, illustrò
tutto il lessico neolatino applicando le leggi da lui scoperte nel
fonetismo, e mostrò come un decimo soltanto delle parole romanze non erano
di origine latina.
restrizioni (?) in queste
conclusioni
perfezionamento del metodo in etc.
Studj esegetici del Diez
Studj letterarj
ultimi.
/
Dopo il lavoro del ove il Diez diede a vedere, meglio
che nella Grammatica, quanto necessario sia al filologo conoscere a fondo
non solo l’idioma ma anche la letteratura e le istituzioni civili e
politiche, e tutta insomma la storia e la vita interiore del popolo che si
studia, egli ritornò ancora una volta agli studj letterarj, e frutto di
questi nuovi studj fu l’opera (1863)
e diversi saggi di critica delle fonti, come lo
scritto sulla edizione del curata da (1831), quello sulla ediz. della di
curata
da (1830), quello
sui pubblicati da
(1836). Poi nel 1865 si rivolgeva alla critica dei testi con gli
ecc. (v. la lista completa in Canello, , pp. 285-7.
Oltre le opere già menzionate di Fed. Diez, ci restano non pochi altri
scritti, minori di mole ma importanti sempre per il loro contenuto,
ennumererò dividendoli in due serie:
nella 1a. che chiamerei di storia letteraria
propriamente detta, abbiamo l’opera sulla poesia portoghese primitiva e la
recensione dei Fragmentos etc. ed. da , che completano gli studj Dieziani sui trovatori;
nella 2a. che direi critica delle fonti, abbiamo
varj scritti sulla di , sulle romanze cicliche del
, sulla cronaca del Cid
In interlinea sopra «ai neolatini» («[…] influiva anch’essa a tramandare
ai neolatini») è presente «nel romanzo».
/
altre opere del Diez
Serie 1: storia letteraria
Uber die erste portug.
Kunst – und hofpoesie: che completa gli studj dieziani sulla poesia
dei trovatori. Sul verso decasillabo, che
illustrava molta parte della tecnica dell’arte non solo epica ma anche
lirica.
Serie 2: critica delle fonti:
Sulla Disciplina Clericalis di Petrus
Alphonsus,
Sui Fragmentos de hum cancioneiro scoperto da Lord
Stuart;
Sulla floresta de rimas antiguas ed. da Bohl
Sulla Cronica
del Cid pubbl. da Huber,
Sul Ciclo di romanze del Cid illustrato da
Duttenhofer; sul Teatro Español di Bohl de Faber – Tutti lavori relativi
alla storia della letteratura spagn. e portogh. editi nei Jahrbucher fur
wissenschaftliche kritik di Berlino. Inoltre relativi alla storia della
letterat. prov. e franc.
Tre scritti sui più antichi glossarj
romanzi;
Tre altri scritti sui più antichi monumenti romanzi, cioè Giur. di Strasb., Sequenza di
S. Eulalia, poema su Boezio;
Altro
sul poema antico fr. La vie de St. Leger;
altro sul poema ant. fr. la Passion du Christ;
Sopra il poema di
Fierabraccia edito da J. Becker
/
Così, dopo aver delineato – dirò così – l’albero genealogico delle lingue
neolatine nella grammatica, e aver messa in evidenza la loro unità e dato
ragione delle loro differenze e dei loro mutui rapporti; e dopo di avere nel
Dizionario etimologico presa ad esame, parola per parola, quasi tutta la
suppellettile lessicale delle nostre letterature, si volgeva con questi
altri lavori d’indole più speciale a ritentare e ad illustrar meglio la
soluzione di molti problemi, che in quei due lavori d’indole tanto generale
o non aveva potuto affrontare affatto, o che aveva toccati appena di volo. E
tutti questi scritti formavano nel loro complesso una prima illustrazione –
come già dissi – di tutto il programma della filologia romanza.
La scuola di Bonn fece suo ben presto quel
programma, e con quella operosità che tanto distingue tutte le scuole
tedesche, si volse a ricalcare passo per passo tutte le grandi orme del
maestro, e in poco d’anni era tanto il progresso che aveva fatto fare agli
studj neolatini, che il Maestro stesso non era più in grado di riassumerli
tutti.
Ciò confessò egli stesso con quel candore che è proprio degli spiriti più
elevati, allorché egli / pubblicò la terza edizione della sua grammatica.
Mentre nella seconda si era affaticato di introdurre tutte quelle correzioni
che i nostri studj gli avevano suggerite; quando fu alla terza – circa dieci
anni più tardi – riconobbe la impossibilità in cui si trovava di tener
dietro a tutto il movimento scientifico suscitato da lui stesso e rinunciò a
ulteriori emendamenti. Questa che per altri sarebbe stata cagione di
biasimo, può dirsi invece per il Diez il più grande argomento della lode che
gli si deve. Infatti i progressi ulteriori fatti dalla filologia neolatina
furono tutti conseguiti in grazia del metodo che egli aveva per primo
insegnato, e il non aver avuto forza bastante di tener dietro a tutti quei
progressi, mostra quale vitalità il suo metodo aveva potuto infondere, nella
sua scuola: oggi questa scuola ha rinnovato molta parte degli studj
dieziani, ma il metodo resta ancora, sebbene perfezionato maggiormente,
quello trovato da Diez, e possiamo credere che resterà sempre lo stesso,
finché almeno lo sperimentalismo sarà la guida delle discipline storiche, e
ben a ragione prese testé nome dal Diez la fondazione per l’incoraggiamento
degli studj neolatini.
/
In tutti costoro la filologia si è venuta sempre più specializzando e
all’infuori del non ve ne è stato un
altro solo che, come il Diez, ne abbia potuto più abbracciare l’intero
programma.
in tre grossi volumi prese a
svolgere ciò che pel Diez era stato argomento di appena poche righe della
sua grammatica, egli si volse cioè ad illustrare il latino volgare. (I)
Che cos’era questo latino volgare? Era il latino non letterario, quello che
si parlava da tutti e che gli scrittori dell’evo classico avevano sempre
studiosamente evitato dall’ammettere nelle loro opere; e precisamente da
questo latino, anziché dal Classico, il Diez aveva dedotto le lingue
romanze.
Ma in che precisamente consistevano le differenze? Molte e discordi erano
state su ciò le risposte in passato e il Diez non si era punto pronunciato
su questo argomento.
Un quattrocentista italiano, ,
era stato il primo a parlare di questa latinità non classica quale base
della lingua italiana; e secondo lui le differenze dall’idioma letterario
dei roma/ni dovevano essere state tante, da dovercela far
considerare fin d’allora come una lingua affatto distinta da quella che
troviamo negli scritti di e di
. Secondo altri e
particolarmente il , sarebbe stato il
latino volgare niente altro che un miscuglio degli antichi dialetti italici
fusi col romano. Solo , prima
del Lanzi, si era accostato molto al vero, e messo sulla buona via,
lasciando da parte le congetture e le ipotesi e mettendosi a cercare le
reliquie di stile latino nei monumenti grafici delle diverse epoche di Roma.
Ma la insufficienza del suo metodo nel farne l’analisi gli aveva impedito di
procedere innanzi; e le osservazioni del Cittadini erano state gittate a
fascio colle altre.
Come dicevo, Diez non volle esprimersi troppo chiaramente su ciò, e si limitò
a notare che il latino volgare secondo lui doveva essersi distinto
dall’altro non tanto per differenze grammaticali e lessicali, quanto per una
certa trascuratezza nella pronunzia, e una certa tendenza a preferire alcune
forme che i letterati per contrario evitavano.
/
Studj filologici a completamento della gramm. del Diez.
Fra i primi meritano di essere ricordati quelli sopra il latino volgare.
Il Diez si espresse assai vagamente intorno al latino volgare. Disse che
questo e non il latino classico era stato la base delle lingue romanze; che
dubitare di ciò era ormai impossibile, e lasciò di darne la dimostrazione,
perché – diceva egli – la cosa è così evidente per sé, che piuttosto si
avrebbe diritto di domandare le prove a chi asserisse il contrario.
Ma in che consisteva questa latinità, e in che si differenziava dalla
classica? Su ciò il Diez – lo ripeto – non si espresse abbastanza
chiaramente.
«Bisogna guardarsi – egli disse – d’intendere per lingua popolare
altra cosa da ciò che sempre s’intende con questa espressione, l’uso
cioè della lingua comune nelle classi basse, uso i cui caratteri sono
una pronunzia più negletta, la tendenza a sottrassi (sic.) alle regole
grammaticali, la preferenza per molte espressioni evitate dagli
scrittori, certe frasi certi costrutti particolari»
(Gramm. I,
1) A questa definizione egli aggiunse alcuni saggi lessicali, dei quali
ecco qualche esempio:
/
Fra i nomi di coloro che hanno maggiormente contribuito ai più recenti
avanzamenti della filologia neolatina, meritano di essere ricordati in
Germania , F. Wolf, , , (sic.), A.
Ebert, (sic.), , ,
, , , Foerster e una donna , senza dire di moltissimi altri;
in Francia i due , , Du Meril, , ,
, , (,
,)
in Spagna , e ; in Portogallo e ; in Rumenia
, e in Italia , , , ,
, , , , e
soprattutto , il quale se nella
glottologia trovò prima un emulo e poi chi lo sorpassò in Ascoli, nel campo
della storia letteraria e particolarmente nella critica dei testi riman
sempre un maestro il quale non fu per anco superato.
Va qui meritamente ricordato anche poiché il restauratore dell’archeologia cristiana ha
aperto agli studj neolatini un nuovo campo dove non si avrà poco di
raccogliere.
/
Egli spogliando accuratamente e classificando tutte le forme divergenti dal
latino classico che gli avvenne di ritrovare nelle iscrizioni, nei documenti
letterarj, nei codici e nelle carte non posteriori al sec. VII, compose un
ampio quadro metodico ove sono specificati tutti i diversi casi in cui la
pronunzia del volgo si discostava dall’uso letterario e contro le regole
della grammatica classica veniva determinando nuove leggi che furono la
causa del rinnovamento neolatino.
Di questo vastissimo e profondo lavoro di analisi egli non solo riuscì a
chiarire i dubbi lasciati dal Diez, ma risalendo alla sintesi delineò con
tutto il rigore del metodo moderno la storia di questa latinità e fissò i
diversi periodi della sua cronologia.
Di questa cronologia di cui credo non inopportuno presentarvi i risultati, è
possibile che nuovi studj sui materiali recentemente scoperti si riesca a
modificare qualcuna delle divisioni interne: ma resterà per sempre
dimostrato da essa che i fenomeni pei quali il latino ad un certo momento
non poté dirsi più latino ma romanzo; eransi tutti compiuti all’avvenimento
del sec. VII.
/
Lo Schuchardt volle dunque studiare per primo questo argomento in tutta la
sua ampiezza e applicando il metodo di Diez, e tutte le raccolte delle
iscrizioni pagane e cristiane, e gli scritti scientifici e tecnici dei
latini come degli agrimensori etc., nonché le carte e i diplomi anteriori
all’8° secolo gli permisero di raccogliere una ricca suppellettile, mercé la
quale la nozione di questo latino volgare fu liberata dalla nebbia delle
ipotesi e delle congetture, e ridotta al vero.
Altri studj sul lat. volg. di Ronsch, di
Altro (sic.) sono da aspettarsi sulle iscrizioni ultime scoperte
Sulla tradizione biblica ed. da
Altri complem. della grammatica
Lavoro di Paris sull’accentuaz.
franc.
Lavoro di sui doppioni
francesi seguito da quelli di Coelho, della Michaelis e del Canello.
/
A compimento di questi cenni sul latino volgare ecco qualche nota
bibliografica
, , Greifswald, 1816.
, , Glückstadt,
1865.
, Oles, 1866-69.
Schmilinsky
/
Serie terza: studj grammaticali:
Sulla gramm. ant. francese descritta da ;
Sulla teoria della accentuazione francese illustrata da G. Paris
Alcune note più specialmente grammaticali sulla Passion
du Christ e sulle Glosse Viennesi nel
Jarbuch di Lemcke) e finalmente il vol. , che fu l’ultima sua opera
Roma, nome, homini, tutta, loro, pero, segnori, come, pregioni, Pilosa,
inquisitione, contra, traditori, corona, conte, figliuoli, lungo, luogo,
sabbione, imperadori, mençione, corpo, scomunicatione, nuova, cròniche,
lui, su, una, Asturi, saputo, sua, suo, fóssono, duca, due, suoi, fu,
chiunque, giusta, ingiusta, sono, molto,
/
Federico Cristiano Diez
Nato a Giessen nel 1794, e fatti gli studj classici nel ginnasio patrio, nel
1813 prende parte come volontario in un corpo franco nella campagna contro i
francesi. Tornato in patria si volge agli studj della giurisprudenza e poi
alle lingue e alle letterature moderne.
Allo studio delle letterat. moderne ebbe impulsi dal Goethe, che egli visitò
a Jena nel 1818. Il Goethe, il più classico fra i moderni, era stato
profondamente colpito dalla lirica provenzale che il Raynouard aveva
cominciato a far conoscere, e stimolò il Diez a occuparsi dello stesso
soggetto.
Nel 1820 egli si stabilisce a Bonn e comincia modestamente la sua carriera
come privato docente; nel 1823 è eletto a prof. straordinario, nel 1836
ottiene nella stessa università l’ordinariato, seguitando a insegnarvi fino
al 1876 in cui è morto.
Durante questa lunga carriera la sua operosità scientifica non s’arrestò mai;
ma i primi saggi non furono quelli che gli assicurarono quel posto così
eminente che ora occupa nella storia della filologia.
/
I primi lavori del Diez furono: un modesto resoconto di una Silva o scelta di romanze spagnole pubbl. da Giac.
Grimm; altri resoconti della raccolta di romanze del ; di una traduzione tedesca del del , di
altra traduz. tedesca dell’.
Quindi alcune traduzioni in versi fatte da lui medesimo di altre Romanze
spagnole (delle quali fu sempre innamorato), e del e del di .
Nel 1825 pubblicava uno studio sulle Corti d’Amore
che demoliva gran parte di ciò che ne aveva scritto il Raynouard.
Nel 1826 dava in luce l’altro volume , che nel 1829 fu seguito
dall’altro volume a complemento del precedente .
Con altre recensioni entra nella critica delle più antiche fonti provenzali
(Fierabras), portoghesi (Cancion. D’Evora), spagnole (Cid), francesi
(Eluonensia) ecc e finalmente dal 1836 al 1844 dava in luce la prima ediz.
della sua Gramatik del (sic.) romanische sprachen.
/
Nel 1853 cominciava a pubblicare il Vocabol.
Etimol. e nel 56 cominciava la 2a edizione della sua grammatica,
che in gran parte aveva rinnovato. Le correzioni non si fermarono a questa
2a ediz.; la 3a pubbl. nel 70 ne contiene altre, ed essa è la
definitiva.
Moriva nel 76 essendo in corso la 4a dove non aveva voluto fare altri
ritocchi, riconoscendo che le forze gli mancavano a tener conto per ciò di
tutti i nuovi lavori. E questa è la sua più bella lode; quei lavori erano
prodotti della sua scuola, altrettanti acquisti fatti col metodo insegnato
da lui.
Diamo ora un’occhiata a questo classico libro della grammatica.
/
La scuola del Diez (Complementi alla sua grammatica)
Il Diez affermando che il latino onde derivavano le lingue romanze, era stato
non il latino di Virgilio e di , ma
il latino comunemente parlato, non si curò poi di specificare le differenze
che intercedettero veramente tra il latino parlato e quello dei
classici.
Ciò divenne argomento di uno studio speciale dello Schuchardt, il quale nel
(sic.) determinò queste differenze
deducendole da uno spoglio amplissimo di tutta la latinità non classica fino
al sec. VII.
Uno studio analogo compieva quasi contemporaneamente il Rönsch nella sua , ove prese ad esame la latinità delle più
antiche versioni della Bibbia, ove l’elemento popolare abbonda in gran
copia.
Schmilinsky faceva altrettanto analizzando l’elemento popolare nella lingua
di ;
nella lingua di ; ecc.
/
Sul latino volgare
Il Diez affermando che il latino onde derivano le lingue romanze, era stato
non il latino di Vergilio (sic.) e d’Orazio, ma il latino parlato
comunemente in città e nelle provincie, non si curò poi di specificare le
differenze che veramente intercedettero fra queste due latinità, e questo
divenne argomento di una prima serie di studj complementari.
Nel 1866 lo Schuchardt si volse alla illustrazione di questo particolare
problema e nel suo Vokalismus des Vulgärlateins
determinò queste differenze deducendole da uno spoglio amplissimo di
iscrizioni e di altri documenti non letterarj anteriori al sec. VIII.
La stessa ricerca estese nel 1866 lo Schmilinski nelle
commedie di Plauto, il Ludwig nel 1870 su Petronio e il nel 1875 tornava in Petronio ed esaminava nello
stesso senso le iscrizioni parietarie di Pompei. E intanto si era notato come maggiore messe di
questa latinità offrisse la letteratura cristiana, intesa non a piacere ma a
diffondere le nuove dottrine fra tutte le classi anche le più rozze, e il
Rönsch nell’Itala und Vulgata (2 ed. 1875)
analizzava la latinità delle più antiche versioni della Bibbia, e il Lansen
nel 1868, lo Schmidt nel 1870, lo
nel 1876 esploravano nello stesso senso la latinità di ; / e finalmente lo
Hoffmane intraprendeva nel 1879 una storia generale del
latino ecclesiastico che è tuttora in corso di stampa.
Né qui si arrestarono gli studj romanzi a proposito del latino. Il nel 1881 dedicò un volume a speciali
ricerche sulla diffusione del latino in Italia e nelle altre provincie
dell’impero, cercando elementi per determinare meglio le singole divergenze
prodottevi dai parlari anteromani, e notevoli contributi portava in questa
stessa ricerca l’Ascoli trattando delle influenze etimologiche del celtico
(1881, una lettera glott.), mentre il (1879) studiavasi di chiarire le influenze
dell’Aquitano.
Si tentarono anche esplorazioni per determinare nel latino peculiarità
veramente dialettali, come il in una
memoria pubbl. a Erlangen nel 1882,
che però nulla riuscì ad accertare.
Ma mentre per questo punto non si riuscì ad andare innanzi, notevoli
progressi furono fatti dopo il Diez nello studio della quantità latina. Il
riconoscimento delle alterazioni terziarie dovuto all’Ascoli, fece
scomparire una quantità di / supposte eccezioni, che parevano essere
state assolutamente arbitrarie e contraddittorie. Ma ciò che maggiormente
fece risaltare la regolarità della trasformazione latina fu l’altra
determinazione della quantità primitiva nelle vocali di posizione.
I vecchi grammatici ci avevano abituati a considerare come lunghe tutte le
vocali di posizione, eccetto i pochi casi della positio
debilis.
Ma intanto si osservava che nei riflessi romanzi alcune di queste vocali di
posizione si conservavano come lunghe, altre si alteravano come brevi.
Ciò sembrava un’altra oscillazione delle leggi evolutive del latino. Ma per
un esame più accurato si ebbe la dimostrazione che la posizione, se alterava
la quantità vocalica, non ne alterava la qualità ecc. ecc. E si venne così non solo a
risolvere un altro problema neolatino, ma si recò anche un importantissimo
contributo alla pronunzia vera del latino medesimo, assai diversa dalla
odierna, confermando le congetture e le induzioni del . Senza nominare chi fu il primo / che possa
vantarsi di questa scoperta – sul che c’è incertezza – perché l’osservazione
fu quasi contemporaneamente, sebbene incompletamente fatta da più filologi –
vuol essere qui ricordata la memoria del Foerster nel
Museo Renano, vol. XXXIII e il manualetto del
Marcx pubblicato l’anno scorso. 1)
La teoria dell’accento era stata, come già dissi, una vera scoperta del Diez,
ed egli aveva potuto mostrare che l’accento latino era rimasto immobile in
mezzo alle alterazioni, e aveva così potuto far restare la effigie primitiva
nelle forme romanze. Ma tuttavia a questa legge si opponevano molti fatti
che parevano altrettante eccezioni, e ciò più di tutto dal francese. G.
Paris nel 1862 prese a trattare specialmente la questione appunto nel
francese e nella sua memoria riuscì a chiarire tutte queste pretese
eccezioni, come altrettanti frutti indipendenti dalla legge dell’accento e
causati dall’azione di altre leggi secondarie; nonché dall’essere molte
parole d’introduzione recente ed erudita e da non confondere quindi con le
altre d’origine popolare, le sole su cui abbiano regolarmente operato le
leggi del linguaggio.
/
Questa distinzione delle parole popolari dalle erudite era stata già indicata
dal Diez, ma non sempre egli l’aveva osservata nell’applicazione. Di qui una
serie di nuovi studj sui così detti doublets o doppioni, o forme divergenti
o allotropi etc.
/
Dialettologia neolatina
Finalmente dall’analisi dei dialetti romanzi parlati nel mezzogiorno d’Europa
l’indagine glottologica si estese agli stessi dialetti importati nell’Asia,
nell’Africa e nell’America.
Primo a questa esplorazione scientifica fu il Teza ( nel . Vol. V, pr. II, 129) nel 1872
seguì il Coelho nel 1881 con una comunicaz. pubbl. nel Bullett. della
, ove trattò di altre varietà
portoghesi, spagnole e francesi.
Finalmente lo Schuchardt nell’82 ha iniziato una serie di nuovi studj su
quelle parlate, e finora ne ha pubblicato cinque memorie sotto il titolo
generale di (negli atti della ).
/
Versificazione
Dagli studj grammaticali e lessicali passiamo col Diez agli studj sulla
versificazione.La sua memoria “Sul verso epico” (1846) segna il
rinnovamento degli studj su quest’altro ramo della filologia, essendo la
prima volta che tale soggetto sia trattato con metodo e rigore
scientifico
Nel suo libro Sulla Pioesia dei Trovadori (1826),
il Diez aveva già in parte illustrato l’argomento per ciò che riguarda la
poesia lirica presso i trovadori. Una memoria pubblicata 20 anni più tardi
allargò la trattazione allo studio del verso epico, e si può dire che questi
due studj insieme al vol. di F. Wolf, Ub die Lais seq. und
Leiche, pubbl. fra il 1° e il 2° 1841 iniziano la illustrazione scientifica
della versificazione neolatina.
Allora cominciarono studj più speciali. Il nei , Basel 1846, esamina questioni particolari nella
versificaz.e francese, prov. e ital.
comparata con la tedesca; Bartsch, nel Jahrbuch, I,
ristudia la poetica provenzale, Tobler, (sic.), ristampato nel
1883 porta innanzi gli studj sulla poetica francese insieme col ( 1879) e col (, Paris, 1879) preceduti dal che già
nel 1850 pubblicava la 2° ed. del suo ).
/
Lo Schuchardt con i (sic.) (1878) estende le conoscenze sulla
poetica italiana; Mila y Fontanals fa altrettanto
per la poetica spagnola e portogh. con una memoria sul decasillabo e con
altro scritto nella ; e intanto il Gautier,
illustrando le Prose di , porta nuovi contributi per la ritmica
latina; lo studio del Gautier provoca una bella lettera di G. Paris (Bibl. Ec. d. Ch.
66) sullo stesso soggetto, e due anni dopo il Bartsch lo riprende per sottoporlo a più ampia trattazione nel
vol. Rostock, 1868. Il più recente e il
migliore studio sulla ritmica latina è oggi quello di G. di Spira, ,Munchen,
1882.
/
Lavori bibliogr. del ,
Haenel, nel periodo precedente.
in questo secondo recarono complementi preziosi, oltre i grandi cataloghi
mss. della e delle altre grandi
Bibl., i lavori speciali del Keller, Heyse, Greith, Bartoli
ecc.
Maggiori sussidj si ebbero poi dal progresso della Paleografia e diplomatica.
– Collez. di facsimili; studj regionali – unità delle scritture neolate.
/
Il Diez che, come dicevo poco fa, segna il punto di distinzione fra i due
periodi, cominciò la sua carriera letteraria nel 1818; ma le prime
pubblicazioni non furono tali da poter dire che avessero portata una
rivoluzione negli studj come fu quando ebbe pubblicata la Grammatica delle lingue romanza (sic.). Soltanto
dopo quest’opera la filologia poté acquistare il diritto di essere noverata
fra le scienze
1) Nell’archeologia e storia dell’arte medievale , Wright, Cahier, La Croix, De
Rossi;
Nella storia della musica , Coussemaker;
Nella paleografia e
diplomatica , , (sic.),
, ;
Riviste
Archiv fur das Stud. d. neuer Spr.
Jahrbuch fur rom. u. engl.
Literatur
Revue des langues romenes
Romanische Studien
Romania;
Rivista di filol. rom.
Archivio glottologico
Zeitschrift fur rom.
philol. _ Anglia
Französische Studien _ Englische
Studien
Literaturblett / Romanische Forschungen
Zeitschvift fur
französ. spr. Und literat.
Archivio per le trad. popol.
Folklore
español.
Rivista d’etnologia e de glottologia
Revue des patois di
Cledat
Le Moyen Age di Marignan
Dopo «[...] il diritto di essere noverata fra le scienze» la carta risulta
interessata da una linea orizzontale che divide la pagina in due.
/
(I) E tale studio da allora in poi acquistava valore non solamente per far
uscire dal campo delle ipotesi e delle vaghe induzioni i principali problemi
concernenti le nostre origini idiomatiche, ma perché recava sussidi anche in
più larga sfera d’indagini. Infatti la formazione delle lingue romanze
essendosi operata in un’epoca pienamente storica e quasi diremmo sotto i
nostri occhi, il processo delle leggi evolutive qui doveva rivelare alla
storia del linguaggio dei segreti che invano si sarebbe tentato di scoprire
nella vita di favelle più antiche.
Ma da allora altresì lo studio del provenzale cessò di essere uno studio a
sé; non si poté più essere buon provenzalista senza essere buon romanologo,
e agli occhi del romanologo gli studj sul provenzale non hanno oggi
maggiore importanza degli studj sull’italiano, o sul francese o sullo
spagnolo ecc. così la schiera dei provenzalisti si è andata
diradando, mentre pure si è elevato l’obbjetto dei loro studj. Nel
provenzale oggi non si cerca più, come dal Bembo al Raynouard, la lingua
madre della lingua nostra, ma del provenzale ci serviamo come d’istromento
per meglio chiarire le comuni origini dal latino.
II
/
Applicando la teoria fonologica allo studio della etimologia, Augusto Pott
intraprendeva nel 1833 le sue ricerche etimologiche nel dominio
indo-europeo, che rinnovavano la critica etimologica e la facevano ammettere
quale una sezione della nuova scienza del linguaggio.
E intanto Schleicher faceva un passo anche più notevole, mentre riduceva a
compendio la grammatica di Bopp. Dello studio analitico e comparativo dei
suoni e delle forme della grammatica indoeuropea si elevava alla ricerca di
quel linguaggio anteriore e perduto che sarebbe stato il vero archetipo come
del sanscrito così delle altre lingue ariane, e per mezzo della induzione
fonologica e morfologica ne ricostruiva lo schema.«In questo periodo
dunque si determinò l’attività del Diez intorno alla Gramm. neolatina; e
già aveva dinanzi oltre la grammatica di Bopp quella più speciale di
Grimm, il quale aveva voluto nell’istessa maniera studiare lo
svolgimento particolare di una sezione del gruppo indoeuropeo, la
sezione degli idiomi germanici. Diez applicò lo stesso metodo al gruppo
romanzo.
/
Notizie storiche e bibliogr. sulla filol. neolatina
nel 2° periodo
Se il voler riassumere anche brevissimamente tutto il movimento filologico
del 1° periodo torna difficile, molto più difficile ciò riesce per il 2°
periodo, benché qui si tratti di uno spazio di tempo assai più ristretto;
poiché, invece di sei secoli, si debbono passare in rassegna appena
ottant’anni. Ma in uno spazio così breve il movimento scientifico fu
incomparabilmente più intenso e più efficace; e, mentre per un lato non
troviamo molte di quelle opere capitali, il ricordo delle quali basta a
delineare per sommi capi la storia degli studj; per altro lato il numero
delle opere che, senza essere capitali, pure gioverebbe fossero ricordate,
attesa la parte reale che hanno avuto nel progresso della scienza, è un
numero così considerevole che una rassegna sommaria trova difficoltà a ogni
passo. Basta il ricordare che soltanto le bibliografie annuali che vanno dal
1858 al 187, ci danno in complesso la cifra di 13,705 pubblicazioni fatte
nel dominio della filologia neolatina, né tutto vi fu registrato, e
manchiamo ancora di bibliografie per gli anni che dal 1858 risalgono fino al
1820, come ne manchiamo per gli anni 80, 81, 82. Onde non è esagerazione il
supporre che una bibliografia completa raggiungerebbe o quasi la cifra di
20,000.
/
Ho voluto premettere questa avvertenza affinché non s’abbia nemmeno per un
momento a credere che ciò che sarò per dire, possa bastare a dare un’idea
adeguata del movimento letterario della filologia neolatina in questi ultimi
60 anni. Ciò che noteremo basterà soltanto a mettere sulla via, chi voglia
saperne di più, a fare ulteriori ricerche da sé stesso. Del resto le singole
parti di questa storia e quella segnatamente che si chiama la storia
interna, saranno riprese e svolte maggiormente, durante il corso, ad ogni
capo che tratteremo.
Aggiungo che, a mia notizia, lavori furono già pubblicati per dare conto dei
progressi della filologia neolatina in questi ultimi anni. Uno di essi è del
prof. Canello e fu pubblicato nella Rivista
Europea, nel 1872, col titolo Il prof. Fed.
Diez e la filologia romanza nel nostro secolo. Il secondo col
titolo di Rapport sur l’état actuel de la philologie
des langues romanes di P. Meyer uscì nel 1874 fra le relazioni
pubblicate nei volumi della Società Filologica inglese. Il terzo è un altra
(sic.) relazione simile per gli anni 1875-82 e stesa dal prof. per la stessa società inglese. Finalmente
una relazione limitata agli studj sui dialetti italiani uscì nel 1879 nei
vol. della stessa società a cura del prof. Rajna.
/
I giuramenti di Strasburgo
Importanza dei Giuramenti di Str. nella storia letteraria.
Provenienza del testo – Dubbi che restano intorno alla sua forma primitiva,
dedotti dagli errori manifesti che vi si osservano, dal non pieno accordo
col testo tedesco, e dalla assenza di formole consuete in atti diplomatici
di questa specie.
/
Di ciascun tema si farà l’analisi gramm. e il commento, premettendovi un
cenno sull’importanza attribuita al documento nella storia letteraria. Si
risponderà a un quesito di st. della filologia.
Sul margine sinistro, in colonna, sono riportate le seguenti indicazioni:
«7B/8A/8B/8C/8D/9A/9B/9C/9D/9E/10°/13° Giur. I /13b Giur. II/ 14 Eulalia/
151 Leger/152
Leger / 15 3Leger
/
Edizioni diplomatiche e loro varietà
Edizioni con varianti
Edizioni critiche e loro varietà
Esempi notevoli 1) Wackernagel, Altfr. Lieder ecc.;
2) Dante del Witte; 3) St Alexis del Paris, Joinville e Villardouin
del De Wailly.
Esame e differenze di questi sistemi:
Una dà il testo quale lo trova, o
perché già rappresenta fedelmente l’originale o perché non vi è altro mezzo
per rappresentarlo meglio;
l’altra dà il testo tal quale della fonte la
più autorevole, riconosciuta però non affatto genuina, e vi aggiunge il
confronto di tutti gli altri testi perché il lettore possa da sé tentare la
piena restituzione dell’originale.
La terza finalmente fa essa stessa
questa restituzione e rappresenta perciò, come lavoro filologico, l’opera la
più completa. Essa però è anche la più difficile e finora non se ne può
citare un solo esempio riuscito appieno. La difficoltà sta
principalmen- / te nella restituzione della lingua e più ancora della
ortografia. Anche la bellissima ediz. del Gautier presenta nella lingua
gravi difetti. Il Paris seppe in gran parte superarli nella sua ammirabile
ediz. del S. Alessi (sic.), ma egli saltò a piè pari la questione
ortografica, sopprimendola, e ciò fu un errore giustamente rimproveratogli
dal Meyer.
Il De Wailly tentò di risolverla valendosi del sussidio di
carte locali contemporanee; ma nemmeno le sue edizioni del Villehardonin o
del Joinville possono dirsi al tutto scevre da dubbj; né può essere
altrimenti, poiché stabilire teoreticamente una ortografia, quando regole
ortografiche non per anco si avevano è cosa assurda.
Quindi vediamo prevalere il sistema misto, che spinge l’opera di
ricostruzione al contenuto e al processo sintattico e morfologico, ma si
affida al ms. più autorevole senz’altro per l’ortografia. Così vediamo nelle
migliori edizioni della , / nella
del Foerster ecc.
E bastino per ora questi cenni intorno ai progressi del metodo di pubblicare
i testi; sul che ho voluto richiamar l’attenzione, perché le edizioni dei
singoli autori illustrati come dissi hanno recato i maggiori sussidi al
progresso della Storia letteraria.
La tedesca in ispecie e oggi anche la francese e la provenzale hanno un
profondo substrato solidissimo su simili edizioni. La nostra invece oscilla
di continuo e va sempre mutando aspetto perché questo substrato ci manca
quasi del tutto.
Conclusione. Stato presente della filol. neolat. Sue influenze nel momento
attuale.
/
Corso 1915-1916
Appunti per la storia della filologia romanza
1. Perché si studia questa storia? Dove possiamo studiarla?
2. Quale
parte spetta in questa storia ai grammatici dell’antichità? quale ai
grammatici del medio evo?
3. Quali i vantaggi e quali i danni che si
debbono all’opera dei grammatici del medioevo?
4. Come e dove
cominciarono gli studi intorno alle lingue romanze? A quali intenti furono
ispirati? Quale parte ebbe in questi
studi?
5. Primordi della storia letteraria e suo svolgimento.
6. La
prima accademia della lingua e lo sviluppo della lessicografia.
7. Prime
opere bibliografiche e biografiche.
8. Primordj della paleografia e
della diplomatica.
9. Prime raccolte di documenti storici e
letterarj.
10. Tendenze che si manifestano negli studj storici al cadere
del sec. XVIII.
11. Il Raynouard e la sua opera.
1. L’influsso della
dottrina del Rayn. ne’ suoi contemporanei.
13. Fed. Diez e il
rinnovamento della filologia.
14. L’Ascoli e la dialettologia.
/
Facsimili studiati
1 7B
2 8A
3 8B
4 8C
5 8D
6 9A
7 9B
8 9C
9
9D
10 9E
11 10A
12 13A
13 13B
14 14A
15 14B
16
15A
17 15B
18 15C
I facsimili sono tra loro riuniti da diverse graffe per mezzo delle quali
Monaci ne indica il contenuto: quelli da 1 a 10 sono relativi alle «Glosse
di Cassel»; i facsimili 12 e 13 sono relativi ai «Giur. di Strasburgo»; i
facsimili 14 e 15 riguardano «S. Eulalia»; i facimili 16, 17 e 18 sono
infine relativi a «St. Léger»
/
Programma per il corso 1915-1916
Se i miei scolari fossero tutti di 2° anno, cioè quegli stessi che
seguirono il mio corso 1914-1915, riprenderei subito Vorrei prima
di tutto riprendere la trattazione rimasta in tronco nel passato maggio e
continuarla.
Si trattò allora di una introduzione generale alla storia delle letter.
romanze, introduzione di cui non potei svolgere che la quarta parte.
Ma alla trattazione delle altre tre parti non basterebbe tutto l’anno che
abbiamo dinanzi, se la materia si dovesse svolgere come si fece per la
prima.
Per abbreviare, senza perder di vista lo scopo principale, procederemo
quest’anno in altro modo. Anziché fare una rassegna sistematica di tutto il
materiale che la storia ci presenta nelle tre branche della letter.
didattica, lirica e drammatica; esamineremo alcuni dei documenti principali
di queste branche e intorno ad esse raggrupperemo le nozioni più necessarie
in modo analogo a quello che si tenne per la letter. narrativa.
/
Quale il nostro programma per il 1915-1916?
Se dovessi parlare solo a stud.i di 2° anno,
riprenderei la trattazione della materia rimasta in tronco nel maggio
scorso.
Ma se avrò anche stud.i di primo anno, dovrò
permettere a modo d’introduzione alcuni cenni sulla filologia romanza in
generale.
Ciò mi sembra tanto più necessario in questo momento nel quale si sente che
anche pei nostri studi si chiude o si sta per chiudere un periodo storico e
si avvicina il principio di un’era nuova.
/
Per la storia della Filologia romanza
La ha chiuso in questi giorni l’ottava sua riunione con
un voto inteso a promuovere e ad incoraggiare gli studi per la storia delle
scienze. Ricordo questo voto, perché esso vi farà sentire che non era
soltanto una opinione personale mia quella che mi spingeva pochi giorni
prima a raccomandarvi di studiare la storia della filologia romanza come il
miglior modo per addentrarci in questa disciplina. Purtroppo tale studio non
è senza difficoltà per principianti, mancando finora per la filologia
romanza un’opera che ne riassuma tutto lo svolgimento storico come per la
filologia germanica lo riassumeva l’opera di . Della storia della filol. rom. non abbiamo a
tutt’oggi che frammenti od abbozzi. Frammenti possiamo chiamare quelli di G.
Paris e di U. A. Canello, che parlano della filol. rom. dal Raynouard e dal
Diez in poi; così pure le relazioni sui progressi ulteriori mandate da P.
Meyer e da Edm. Stengel alla , e le altre raccolte dal Vallmöller
nel suo Jahresbericht a cominciare dal I… abbozzi
o prospetti storici più ampi sono quelli del Neymann (sic.) e del Gröber.
Essi vollero risalire i tempi anteriori al Diez e al Raynouard e tracciare
le vicende degli studi sulle antichità romanze e cominciare dal sec. XIII,
brevemente il primo, assai più ampiamente il secondo; e giustizia vuole si
riconosca come nel lavoro / principalmente del Gröber, se non troviamo
uno svolgimento pieno della materia, vi troviamo tuttavia, e ben piantato,
lo schema dell’ordinamento di essa; così che il giovane ben può di lì
muovere per una trattazione ulteriore. Ma pur come abbozzi o prospetti,
quelli del Neumann e del Gröber non possono dirsi completi, se poniam mente
al tempo ch’essi considerarono come la prima età di codesti studi.
/
I gr ammatici nell’età romana - § 2, cart. 2.
I gramm. dopo l’invasione barbarica - § 3, c. 4.
In che consisté l’insegnamento dei grammatici nel medio evo ___ § 4, c.
7.
Come i grammatici vennero rinnovando l’insegnamento del latino ___ § 5, c.
13.
Come i grammatici rinnovarono il lessico latino ___ § 6, c. 20.
Come i grammatici rinnovarono la versificazione metrica ___ § 7, c. 24.
Come i grammatici svilupparono la versificazione ritmica ___ § 8, c. 26.
Come i grammatici elaborarono la prosa d’arte ___ §§ 9, 10, cc. 28-30.
Come dai grammatici si passò dal latino alle lingue volgari ___ § 11, c.
31.
/
Filologia romanza
Limiti nel tempo.
Il vostro insegnamento si intitola “storia delle lingue e delle letter.
neolatine”. Nulla in questo titolo che apporti o che implichi una
limitazione di tempo. Fin dove giunge la vita di queste lingue e di queste
letterature, fin lì deve pur giungere la loro storia. Ci arresteremo al
medioevo con la letteratura provenzale, perché col medioevo cessò la sua
vita. Ma se ci arrestiamo al medioevo con la letterat. francese o con quella
di Spagna, non è perché lì finisca il compito del romanologo; sibbene perché
col medioevo si termina la letteratura delle origini, il periodo cosidetto
delle letterature nazionali, quello che era finora il meno conosciuto e il
più necessario da conoscersi per spiegare la letteratura dei secoli
posteriori, quello che più abbisogna di metodi speciali per acquistarne la
conoscenza; e se l’insegnante trova la sua classe già ben preparata su quel
terreno, nessuno gli vieta, anzi il dovere potrà consigliarlo di passare
all’età successiva e di correre quanto può per l’età moderna. E nella età
moderna, anzi nella contemporanea, non siamo già sempre portati dallo studio
dei dialetti e dallo studio del folklore? E perché studiamo / i dialetti
e il folklore se non per trarne le ragioni, nei dialetti, delle vicende
degl’idiomi nazionali dal loro primo apparire fino al momento presente; nel
folklore, degli elementi che vivificano le letterature moderne e spiegano i
fatti dell’oggi come necessaria conseguenza delle tradizioni del
passato?
E a che mira poi sempre e dovunque la storia, se non a illuminare il presente
con i riflessi del passato? l’interesse che noi poniamo nello studio del
passato, non è tutto in ragione dell’utile che ne caviamo per la conoscenza
del presente? Togliete il presente all’obbiettivo dello storico, e lo
storico diventerà un semplice erudito. E in questo appunto il romanologo ha
sempre inteso a distinguersi dal puro erudito, in quantoché, per l’erudito
lo studio del passato è fine a se stesso, per il romanologo invece quello
studio gli interessa sol perché gli è mezzo alla miglior conoscenza del
presente.
/
Per la storia delle letterature romanze.
Donde cominciare? Una volta non si esitava a dire: dal sec. V; anzi si recava
una data anche più precisa, il 476, il momento cioè … ecc.
Oggi credo che nessuno avrebbe il coraggio di richiudersi in quei limiti;
tutti sentono che la vita del pensiero moderno comincia più su, ed io credo
che nella letteratura nessun’opera segni così bene e così sicuramente i
confini fra le due epoche, fra le due civiltà, fra i due pensieri quanto lo
segna la Bibbia, al suo apparire nella sua nuova veste latina, al suo
diventare il libro per eccellenza dei popoli occidentali…. (vedi a
tergo).
/
L’apparizione della Bibbia nelle sue varie traduzioni latine può segnare
nella storia il punto di divisione fra l’antica letteratura di Roma e la
letter. latina del medioevo.
È vero che fra l’una e l’altra letteratura la continuità non fu mai
interrotta, e che i fatti della prima sono strettamente concatenati coi
fatti della seconda. Ma è anche vero che esse diversificano tra loro come la
luce dalla tenebra, come il bianco dal nero; e ciò quantunque gli elementi
formali siano pur sempre gli stessi.
Or come spiegare questo se non perché nella composizione e nell’equilibrio di
quegli elementi è avvenuto un mutamento, e che un mutamento anche più
profondo si è determinato nello spirito animatore di essi?
Ed è appunto quel mutamento che per la prima volta ci si manifesta
decisamente nelle traduzioni della Bibbia; come nella Bibbia stessa
sorprendiamo lo spirito nuovo che da allora in poi, e direttamente o
indirettamente, ma sempre con maggiore intensità ed efficacia, agiterà gli
elementi formali e li sospingerà a nuove creazioni.
Non sarà dunque arbitrario prendere le mosse di là per abozzare (sic.) un
piccolo quadro della letteratura latina del medioevo, e cominciamo
dall’osservare un po’ più particolarmente queste prime traduzioni della
Bibbia ed il loro significato storico.
/
Storia letteraria – Sua metodologia.
Un romanologo novizio mi domandava un giorno: ma delle letterature moderne
non dobbiamo occuparci noi? Perché circoscriversi nel medioevo?
Io non credo che nessun uomo di buon senso abbia fissato quei limiti alla
filol. romanza. Credo anzi che simili limitazioni sieno assurde. Solo è da
ricordare che la letteratura moderna non abbisogna tanto quanto la
medioevale di un tecnicismo su (sic.) proprio nell’esercizio della critica;
perciò ai giovani che vogliono istruirsi non è opportuno di farli cominciare
dall’età moderna; giova invece che s’irrobustiscano cominciando dal lavorare
nel campo dove la fatica e (sic.) maggiore e dove è necessaria maggior
disciplina.
Ma lo studio della letter. moderna, oltre al non essere fuori del dominio
filologico, dirò che ha le sue molte utilità anch’esso. Ne accenno una
finora poco sentita. Voglio dire che può ajutarci molto e meglio intendere e
spiegarci i problemi che si affacciano nel periodo delle origini. Nella
storia ben poco troviamo di nuovo; il più è rinnovamento, frutto necessario
di ricorsi più o meno lontani. Ora, quando si voglia studiare uno od altro
di tali ricorsi, non è meglio cominciare dagli ultimi, che sono più alla
portata nostra?
/
(Storia letter. _ Sua metodol.)
Lo storico si trova, nella indagine della verità, in condizioni analoghe a
quelle di un capitano che vuol stringere d’assedio una fortezza. Come quello
comincia dal ‘tracciare le sue parallele dal punto lontano in cui si trova,
per vener poi accostandosi sempre più; così lo storico deve anch’egli
cominciate (sic.) dalle parallele sue, e da queste muovere per accostarsi
sempre più al punto che vuol conquistare e mettere allo scoperto.
/
La filologia romanza
e l’arte.
/
Il movimento filologico del secolo ebbe il suo influsso anche nei dominj
dell’arte.
Avremmo noi , se le belle leggende dei
Nibelunghi, del Graal, e d’Isotta e Tristano, risorte a vita proprio intorno
a quei tempi, non fossero venute ad accendergli la fantasia e a commuovergli
il cuore e la mente?
E quanti altri soggetti esumati dalla filologia e rimessi a nuovo dall’arte
non hanno fatto guadagnare belle palme ad altri scrittori e artisti
moderni?....
Perfino le vecchie forme poetiche poterono dare qualche ora di più di vita
alla musa agonizzante del sec. XIX. Donde gli effetti che il seppe ricavare con le sue odi barbare, il
con le sue prose rimate?
E donde anche quel rinnovamento formale che si estese perfino
all’ortografia?
È vero che qui il rinnovamento non fruttò allori, / anzi avrebbe rischiato
di cadere nel ridicolo, se…
Ma di contro alla ricerca studiata e faticosa di novità strane nella lingua e
nella ortografia aulica, caratteristica di questa fine di secolo pure
inneggiante a tutto ciò che sentisse comunque di popolare, la vera musa del
popolo ci ha fatto gustare una poesia nuova, che non ci lascia troppo
lamentare la fine della musa convulsa dei salotti.
/
La vera poesia italiana finisce in questo secolo col . Quello che apparisce dopo di lui,
da a Carducci e D’Annunzio, non è
veramente una poesia nuova, ma è l’agonia della antica, è un succedersi di
convulsioni d’un essere stremato di vitalità, e una serie di casi patologici
uno più curioso dell’altro.
/
Alla fine del secolo, al cominciare dell’ultimo quarto, all’improvviso
sull’orizone (sic.) ci si affaccia qualcosa di nuovo; dapprima informe, poi
apparisce quasi uno sciame di bellissimi scarabei, lucenti, vividi,
smaglianti, … un insieme mai più veduto, che sorprende tutti, che incanta,
che fa dire ai profeti maggiori: vedete? La poesia non è morta ancora. Quel
magnifico sciame, mai più veduto, s’innalza solennemente nell’etere in mezzo
alle ammirazioni… che si ammira? il ronzio? o la festa dei colori che il
sole versa sulle loro ali?
/
Storia dell’Arte
Mentre in Italia si fa tanto ostacolo a far entrare la storia dell’arte
nell’Università, in Francia se ne propugna l’insegnamento anche nelle scuole
secondarie, e là si vorrebbe che ogni istituto, oltre la sala di studio,
avesse un’altra sala ove esporre una serie scelta di monumenti
corrispondenti all’epoca storica su cui versa l’insegnamento. V.
A. D’Avril in LXVII, 696.7, a proposito
del libro , (Paris, Chevalier-Marescq, 1900, in 8° di pp.
158).
/
Per la Storia dell’Arte
Qualche anno addietro un Ministro della P. I. mi faceva pervenire copia di un
decreto, pel quale l’insegnamento della filologia neol. doveva portare il
suo contributo anche nella Scuola di perfezionamento per la Storia
dell’Arte.
Non una riga mi accompagnava quella comunicazione che – se si fosse dovuto
dirigerla a un servitore di piazza – forse sarebbe stata più rispettosa. Mi
adoperai tuttavia a serverire (sic.) la mia patria anche in ciò come meglio
potei. E siccome il sig. Ministro metteva a scelta dei candidati un corso di
filol. neol. o un corso di paleografia, quantunque poi la paleogr. non fosse
un insegnamento officiale, mi adoperai affinché ai candidati non potessero
mancare i soggetti della scelta. Da quel momento data l’apparizione della
paleogr. fra le materie dell’insegnamento libero, e – potranno tutti
riconoscerlo – in nessun momento la libera docenza ha fatto più nobile prova
di se stessa.
/
Storia letteraria.
Suo ordinamento.
/
Come nelle altre discipline così anche nella storia letteraria l’indirizzo
moderno scientifico ha rinnovato i metodi della ricerca e i criterj del
giudicare. A farsi una giusta idea di questo rinnovamento è utile riandare
brevemente le frasi percorse dalla storiografia delle lettere.
Secondo il Ferrieri, tre sarebbero queste fasi:
1a. quando prevalse la tendenza biografica e
bibliografica;
2a. quando prevalse la
tendenza civile ed estetica;
3a. quando
l’una e l’altra delle tendenze predette cedè il posto all’indirizzo
storico.
Rappresentanti della prima tendenza furono il , il , il Crescimbeni, il , lo , il
Grimma, e soprattutti il , la cui storia rimane anch’oggi la sorgente più
copiosa e il più sicuro repertorio dei fatti della nostra letteratura,
quantunque vi manchi la ragione filosofici (sic.) dei fatti stessi, la
ricerca dei nessi che li collegano, delle relazioni fra le opere letterarie
e il movimento intellettuale contemporaneo, fra il genio individuale e
l’ambiente storico. Lo stesso indirizzo seguirono il , il , il
, il , il , il
, l’, il Foscarini, il , il Ginanni, l’,
il Fantuzzi, il Soria, il , il
, il
Barotti, il De Rossi. E la stessa via
batterono anche il con i suoi
continuatori, il , il , , quantunque in essi il senso storico e critico moderno
cominci ad affacciarsi, e il Ginguené si distingua dai predecessori per
copia e precisione di dottrina, il Sismondi per acume e novità di giudizi,
l’ per originalità d’indagini e
liberalità d’intendimenti.
Ma intanto il con la , e con altri
scritti il , il , il , il
, l’, il , il
, il e il avevano
allargato la critica a idee più libere e razionali, assorgendo alla
concezione dell’arte e della letteratura in connessione più intima con la
realtà della vita.
E dopo di essi col suo famoso
discorso sul testo del poema di Dante dava nuovo impulso e avviamento più
diretto al metodo moderno, riuscendo a contemperare nello studio dei
capolavori la dottrina storica con l’analisi psicologica e col gusto
estetico, e sempre più cercando di ricollegare l’arte col vero scientifico e
colla vita civile, integrando così la ricerca paziente del collo spirito filosofico di G. B.
Vico.
/
Storia letteraria – Suo ordinamento
Un prospetto di st. lett. per uso scientifico può molto utilmente essere
ordinato per generi, quantunque nelle letterature romanze del medio evo la
produzione non sia così rigorosamente subordinata alle divisioni della
tradizione classica. Così fece anche il Paris nel suo manualetto per la
storia della antica lett. francese. Ma, nei quattro generi, sarà pure da
seguire il Paris che dà il primo posto all’epica e il secondo alla
didattica?
Se consideriamo che la tradizione didattica è la più antica nelle tradizioni
letterarie dei popoli romanzi; perché essa non subì interruzione passando
dall’antichità nel medioevo, e se consideriamo che la didattica tradizionale
più o meno esercitò influenza su tutte le altre opere letterarie del medio
evo, si comprenderà facilmente che il primo posto, nell’ordinamento di un
prospetto storico spetta alla didattica, e che soltanto dopo aver conosciuto
la parte della didattica nella storia del m. evo, si potrà intuire
l’elemento originale degli altri generi.
/
L’opera di e l’opera di
– differenze – nuovi passi da
fare.
Comincerò dal perché di una fonte non ancora illustrata per la storia della
poesia goliardica in Italia.
Cenni generali sui goliardi secondo gli studj recenti.
Dubbi che restano insoluti. _ La Cena Cipriani.
rifacimenti che ne elaborano in Germania o in Francia , in Italia Giovanni….
Studj del pei quali restò dimostrato
che questi fu noto autore
della vita di . Sua felice
identificazione dei personaggi nominati da Giovanni. _ non così della
cerimonia con la quale il poemetto mostra una evidente relazione.
- Tale cerimonia è quella detta della Cornomania.
Descrizione di essa secondo il Polittico di
.
- Se, letta quella descrizione, riprendiamo i versi di Gio., ci sarà facile
di capire: 1°. che egli con la lettura di questi versi rallegrò
Carlo con i suoi cavalieri franchi, il che dovette
seguire quando Carlo il Calvo nel natale 875 venne in Roma a farsi coronare
imperatore; 2°. che con questi stessi versi si rallegrava il papa quando nel
sabato in altis andava al laterano e vi era festeggiato
/
Varia
/
Nozioni generali sulla filologia
neolatina.
Manuali – Repertorj.
Riviste che rappresentano il
movimento contemporaneo.
Sussidj bibliografici
Storia della filol. neol. – opere del Canello, del
Neumann, del Gröber – Pregi e difetti di questi lavori.
La filologia neolatina dai primi secoli del medioevo al XIII.: §2. I
grammatici nella età romana. – 3. I grammatici nei secoli di mezzo. – 4. Le
enciclopedie. – 5. I trattati speciali. L’insegnamento grammaticale. – 6. I
lessici. – 7. La retorica – 8. La versificazione. – 9. La prosa – / 10. I
dictatores – 11. I volgarizzamenti. 12. I commentarj e i compendj.
/
La Filologia romanza
nel secolo XIX
ricordi
e note.
/
Alla vigilia del nuovo secolo, venendo a parlare per la prima volta a giovani
che intendono d’iniziarsi negli studj della filologia romanza o neolatina,
credo che non parrà inopportuno che dia principio al mio corso, dedicando
alcune ore ad un rapido sguardo sull’opera della filologia romanza nel sec.
XIX e a qualche considerazione sull’avvenire di questa disciplina nel secolo
futuro.
Non si pensi però che io miri con questo a fare o anche delineare
semplicemente la storia di essa. Tale storia, benché in parte già tracciata,
non si potrebbe delineare nel giro di poche ore. Ciò che intendo piuttosto
di fare, è riassumere i principali momenti della sua evoluzione e dei suoi
progressi, e richiamare l’attenzione vostra su l’azione che la filol.
romanza ha potuto esercitare nella vita contemporanea, fuori anche
dell’orbita sua propria, contribuendo non poco all’avanzamento di altre
discipline storiche, preparando il risveglio della coscienza nazionale, e
ravviando l’arte sul tramite delle sue migliori tradizioni.
/
Per la storia della filologia romanza si vedano:
U. A. Canello, . Firenze,
1872.
Estratto dalla Riv.
Europea
Altra edizione con mutamenti e miglioramenti pubblicò il Canello stesso nei
suoi Saggi di critica letteraria, Bologna, Zanichelli, 1877, pp. 245-287. Del
Diez, prima che il Canello, aveva già trattato G. Paris nella bella
prefazione che egli scrisse nel pubblicare, da lui tradotta, la Introduction à la gramm. des langues romanes del
Diez, medesimo, Paris, Franck, 1863; e la parte biografica di quello scritto
fu anche ristampata da , , Copenhagne (sic.), 1895, pp. 1-5. Intorno al Diez è pur da
leggere la bella commemorazione fattane a Bonn il 3 marzo 1894 dal
successore suo W. Foerster, , Bonn, 1894; che fu tradotto in italiano da
(Padova, Randi? 1894) e in francese da… (Montpellier, Hamelin, 1894). Per altre
pubblicazioni fatte in quella stessa occorrenza, tutte d’interesse per
l’argomento, ved. una notizia bibliografica in…
/
La filologia romanza nel sec. XIX,
ricordi e note.
/
Storia delle lingue e storia delle letterature neolatine.
Mentre all’estero e principalmente in Germania la nostra disciplina entrando
nelle Università prese semplicemente il nome di filologia romanza, qui si
volle specificarlo maggiormente e anzi lo si sdoppiò in storia comp. delle
l. neol. e in st. comp. delle letter. neolatine.
Fu quello un ordinamento dei più infelici e ad esso si deve non poco delle
difficoltà che la nostra disciplina ha incontrate per fruttificare in
Italia.
Imperocché si venne così a ingerire la persuasione che lo studio delle lingue
sia indipendente da quello delle letterature, come ancora che lo studio
delle letter. sia indipendente da quello delle lingue. Così non solamente
fra gli studenti ma anche fra gl’insegnanti venne invalendo il pregiudizio
che per lavorare nel campo della storia letteraria non abbisognasse punto
una larga preparazione in glottologia; e così anche si finì per credere che
per addentrarsi nella storia delle lingue non fosse punto necessario aver
presente lo svolgimento storico delle relative letterature.
/
La filologia romanza
dopo la riforma del Regol. Universitario.
Le recenti modificazioni portate al Regolamento universitario dànno nella
scuola italiana una nuova orientazione alla filologia romanza o almeno le
danno una orientazione più ristretta e quindi più precisa.
Ormai, chi insegna questa disciplina non dovrà più pensare a portare
simultaneamente il suo contributo nella preparazione di chi si dedica alla
filosofia, alla filologia classica, alla storia. Noi dobbiamo occuparci
soltanto di chi vuole laurearsi in lettere italiane. Questa limitazione avrà
un doppio risultato: di liberare molti studenti dall’obbligo di una materia
che non credono in rapporti troppo stretti con quella in cui vogliono
addottorarsi; di permettere all’insegnante di lavorare soltanto per coloro
pei quali lo studio di questa materia, più che un complemento
indispensabile, è una integrazione capitale.
Premessa questa dichiarazione, passo a dire brevemente di ciò che lo studente
di lettere italiane può chiedere alla filologia neolatina, di ciò che questa
ha il debito di fornirgli.
E qui, alla prima, la risposta è molto ovvia: la filologia romanza deve nello
studio delle lettere italiane portare tutti quei chiarimenti che solo
possono acquistarsi dallo studio comparativo delle lingue e delle
letterature congeneri.
Ma – si avverta bene – lo studio comparativo non dev’essere lo studio
elementare; e su questo punto ragioni d’ordine pratico diedero finora motivo
a qualche equivoco che è tempo di far cessare. Mi spiego. Sull’esempio delle
Univ. tedesche anche in Italia bene spesso si fece consistere un corso di
filol. romanza nello esporre la grammatica storica di una o d’altra delle
lingue neolatine unendovi le relative nozioni di storia letteraria. Ciò non
fu inutile per la nostra cultura; ma, in fondo, si finiva col mancare
/ al vero intento della disciplina nostra. Essa non mira a insegnare una
lingua o una letteratura; essa suppone già acquisito tale insegnamento, e
suo compito sarebbe soltanto di utilizzare quelle nozioni, per valersene
nelle indagini comparative. Ma purtroppo quelle nozioni preliminari le
nostre scuole non le avevano date. Così si suppliva alla meglio, e alla fine
accadeva che per sopperire a questa bisogna, mancava il tempo per fare
altro.
Orbene, tutto ciò ebbe la sua scusa anzi la sua ragione finché la filol.
neol. fu materia obbligatoria per tutti gli studenti di lettere e di
filosofia. Ma oggi non è più così, e d’ora innanzi conviene che lo studente
di lettere italiane a certi rudimenti ci pensi da sé.
Da mia parte non pretendo molto. Se per le lingue romanze esso studia da sé
la piccola grammatica dello Zanner, possederà già gli elementi necessarj per
cominciare un corso, e al seguito penseremo qui in iscuola.
Nell’interlinea, sopra la parola «seguito» («e al seguito penseremo qui in
iscuola»), è presente la variante «resto».
/
Storia
Suo compito.
“Que semble-t-il… que nous demandions à l’histoire, et plus particulièrement
peut-être à l’histoire littéraire, sinon d’être avant tout une résurrection
du passé ? Complète, - et complexe à ce titre, - vivante et animée, mais
colorée surtout, nous lui demandons de nous représenter, en l’éclairant au
moyen du pouvoir de l’art, la multiplicité, la confusion même au besoin,
l’aspect ondoyant et mouvant de la réalité. Nous lui demandons de nous
rendre la sensation du passé comme actuelle. Et pour cela, dans ses
tableaux, nous lui demandons de ne rien oublier ; de s’attacher en tout au
détail précis et caractéristique, à l’anecdote, au trait, à la nuance ; de
mettre à les reproduire non seulement son application, mais sa coquetterie
même, si je puis ainsi dire ; et parfois de donner autant de place au récit
des mésaventures conjugales de Molière, ou à l’inventaire de la garde-robe,
qu’à l’étude même de la société précieuse, ou du caractère d’Alceste, ou de
la véritable signification de Tartufe. ” (, , Paris, Hachette, 1894,
I, 3-4.)
/
Quanto più progredisce lo studio della storia, quanto più il sentimento di
essa si sviluppa entro di noi, tanto più si allarga il compito della
filologia e si sente crescere il bisogno del suo concorso per raggiungere
gl’intenti che la storia si propone.
Si consideri per un momento la evoluzione del concetto chiuso in questa
parola storia.
Dapprincipio essa non è che un semplice racconto del passato, quale lo
portavano alla mente le tradizioni. Ma le tradizioni non sono tutte di una
sorta: altre orali, altre scritte; altre ci rappresentano la impressione
immediata e veridica di testimonj sincroni e talvolta anche oculari; altre
ci recano soltanto degli echi confusi di chi nulla vide e nulla seppe di
certo; altre infine non sono che leggende lentamente formatesi dai vapori di
una poesia lontana. Quanto diverso è il valore di siffatte tradizioni per la
storia! Eppure essa dapprincipio le accoglie tutte alla pari,
indifferentemente si vale delle une o delle altre per dare ai contemporanei
una notizia del passato, e in quella fase primordiale nulla può farci
distinguere la storia dall’epopea.
Ma si desta lo spirito critico. Esso comincia a vagliare le testimonianze, a
scrutarne la sincerità, a eliminare le dubbie, a interrogare gl’indizi,
assorge alla teoria delle prove, spoglia il racconto di tutto ciò che non
sia accertato e sicuro, e ricompone così lo scheletro del passato.
Invece di fantasmi esso presenta uno scheletro, dal dominio della
immaginazione esso vuole portarci in quello della realtà. Ma anche in questo
dominio non basta presentare degli scheletri; la curiosità si aguzza, si
vuol giungere alla visione del passato come se fosse presente. Perciò si
cerca di ravvivare quello scheletro, e per ridare ad esso polpa e nervi,
sangue e spirito l’arte viene in soccorso della critica, e nelle lettere
vediamo prodursi il romanzo storico quale si organizza nella mente di Walter
Scott, e la storia pittoresca quale l’abbiamo ammirata in Tierry e in
Gregorovius.
È quello l’ultimo il più alto ideale della storia nella mente moderna?
No, ci risponde il viaggiatore che con i racconti alla mano va faticosamente
visitando i paesaggi della storia per rivivere un momento nell’ambiente che
essa gli ha descritto; no ci rispondono i cercatori di anticagli e i
visitatori di musei che si affollano sempre più numerosi intorno a ogni
specie di oggetti che appartennero al passato e che in qualche modo valgono
a rimetter loro sotto gli occhi una parte di esso; no finalmente ci dicono i
raccoglitori di documenti e di tutte quelle quisquiglie letterarie che fino
a poco tempo addietro nessuno curava e che oggi si studiano amorosamente per
cogliervi qualche manifestazione, sia pur lieve e fuggevole, o qualche
anello della vita che fu.
/
teoria di Lemcke
Come ogni combinazione chimica è accompagnata da uno svolgimento di calorico,
ogni combinazione di nazionalità è accompagnata da uno svolgimento di
poesia.”
Gaston Paris, , p. 3 ;
Th. Braga, , p. 14-15.
/
La storia nella poesia
“Les vues de Creuzer et les précieux travaux de son habile interprète,
M. Guigniaut, sur le symbolisme de la mythologie, se
chargèrent enfin de prouver que toutes les idées généralement admises, les
plus bizarres comme les plus plates en
apparence, avaient un sens caché dans les croyances et la civilisation de
leur temps, et l’on conclut de cette foule d’ingénieuses explications que
des traditions assez vivaces par elles-mêmes pour échapper à l’oubli, malgré
le flot toujours montant des idées nouvelles, formaient un élément important
de l’histoire……
Dumeril, , p.
275; ove merita di esser letto tutto il passo, molto più esteso, che vi si
riferisce alla poesia popolare.
/
La filologia romanza alla fine del sec. XIX.
Se in altri anni si poté sentire incertezza sull’argomento donde prendere le
mosse per un corso accademico, questo non può accadere oggi che ci troviamo
alla vigilia di un secolo nuovo.
Questa volta l’idea del momento domina tutti con la sua solennità.
La carta risulta danneggiata e prevedeva un’altra parte di testo che si
intravede ma che è illegibile.
/
I manuali, i repertorj, le riviste, le enciclopedie.
Studj sugl’idiomi
anteromani.
Studj sul latino e particolarmente sul latino non letterario
e sul medioevale.
Studj sulle singole lingue romanze, e sui moltissimi
loro dialetti.
/
Benché questa scienza sia sorta già ben avanzato il secolo, e che solamente
nella seconda metà di esso si circoscriva il suo maggiore sviluppo, pure
questo fu tanto che nessun altro ramo della filologia potrebbe vantare un
simile. Il suo fondatore Federigo Diez
/
Quando il latino sembra ormai spento nel parlare dei popoli d’Occidente, e
nuovi vernacoli cominciavano a sostituirlo nelle varie provincie dell’antico
impero, la cultura riattivata fin dai tempi di Carlomagno fece sorgere una
letteratura nuova in lingua latina, che riavvicinò e strinse di nuovo in una
unità intellettuale i varj popoli mentre fondavano le nuove nazionalità, e
per tutto il medio evo restò espressione della società più elevata di tutti
i paesi, ritardando dapprima le manifestazioni delle letterature volgari,
poi servendo a queste di modello e di guida.
A farsi dunque una giusta idea del movimento letterario del medioevo e delle
origini delle letter. romanze, occorre aver sempre presente il grande quadro
della letter. latina di quei secoli, e non studiare i primordj delle letter.
romanze senza tener d’occhio contemporaneamente la letter. latina
congenere.
A questo scopo sarà utile un prospetto sistematico, analogo a quello che già
perl’ant. letter. francese ordinò G. Paris.
/
Gli studj sul latino.
Studiato assai il lat. volgare, non altrettanto forse il latino scolastico
degli ultimi secoli; o almeno non fu ancora riconosciuta ad esso tutta
l’importanza che ha nella storia delle lingue romanze, segnatamente nella
formazione degl’idiomi letterarj.
Cenni storici su questi due rami di studio del latino.
Gli studj sulla storia letteraria.
Forme diverse che la storia lett. ha assunto nel suo svolgimento –
Metodologia della stor. lett. _ Tendenza che oggi si manifesta a condensare
sempre più la parte espositiva o riassuntiva e a far parlare di loro stessi
i tempi e gli autori: questi con lo sviscerarne le biografie e i documenti
intimi e con produrne originalmente i brani più notevoli; quelli con
descriverli accuratamente e farceli rivivere sotto gli occhi con la
rappresentazione figurata di ciò che ebbero di più caratteristico. Così la
storia dell’arte, l’archeologia ecc. vengono ad arricchire o integrare la
storia lett. e a intrecciarsi con lei.
Dopo «Cenni storici su questi due rami di studio del latino» la carta
risulta divisa in due da una linea orizzontale.
/
Leggende
Non occorre qui di ricordare quanta parte abbia la leggenda nella poesia del
medioevo e quanto interessamento essa abbia destato fra i moderni, in tutti
coloro che del medioevo cercano di scrutare l’anima e il sentimento.
Al cominciare del sec. XIX abbiamo tutta una rifioritura di leggende nel
campo dell’arte: poemi, novelle, romanzi, drammi e altre composizioni d’ogni
specie rimettono a nuovo quelle poetiche creazioni delle prime età e ne
risvegliano il gusto.
Ma nessuno erasi curato fino allora di spiegare la genesi delle leggende,
nessuno aveva intuito la importanza del loro studio nella critica storica,
nessuno forse poteva per anco prevedere quanta luce nella storia si sarebbe
irradiata dalla leggenda tosto ché essa fosse sottoposta ai processi
dell’analisi scientifica.
/
Roma nella storia della fil. romanza.
I romanologi, era da aspettare che si volgessero a studiare e ristudiare Roma
con particolare interesse. Ma non fu così. Relativamente al movimento
generale, ben poco si fece intorno alla città romana. Perché? Due pregiudizi
possono spiegare questo quasi abbandono.
Nell’ordine delle indagini linguistiche si disse: l’evoluzione della parola
latina non si compie per effetto di una irradiazione continua e unica che
partisse da Roma per rifrangersi via via direttamente nei punti più lontani.
Si ebbero invece diversi centri, ognuno dei quali sostituì in certa guisa
Roma, e da ognuno di quei centri si ebbero così particolari evoluzioni del
latino. Ciò naturalmente attenuava l’importanza di una speciale ricerca
sulle sorti del latino in Roma.
Inoltre Roma, per gli storici era divenuta una città morta: e nessuno pensò
per un pezzo di cercare in questo centro atrofizzato gli elementi donde il
pensiero doveva assorgere a una vita nuova. Quindi l’abbandono e la ricerca
di nuove orientazioni.
/
La filologia romanza nelle Università italiane e, in particolare, nella
.
- Vecchi addentellati – Nuove esigenze – Adattamenti all’ambiente in
Milano, in Napoli, in Padova, in Roma – La lettera del Min. ….. Assurdità di quella lettera dinanzi
alla scienza, la cui libertà essa fu prima a violare –
/
Il sentimento della nazionalità.
Questo sentimento in Francia si manifesta assai di buon’ora, fin dal tempo
dei Merovingi. E poiché allora ogn’idea s’informava dal concetto religioso,
così una delle prime manifestazioni del sentimento nazionale l’abbiamo nella
canonizzazione di varj santi, come quella di S. Leger, che fu martire, ma
più della politica che della religione. Ebbe nulla di simile l’Italia nei
primi secoli del medioevo?
/
L’insegnamento filologico nella nostra facoltà non consiste propriamente in
una dottrina, sibbene in una disciplina. Esso cioè aspira non tanto a dare un complesso
organico di nozioni e di dimostrazioni intorno a un dato soggetto, quanto ad
addestrare nella ricerca dei mezzi più sicuri e più adatti per conseguire il
vero in qualunque indagine che si eserciti nel campo della storia. In
ispecie: con lo studio comparativo delle lingue neolatine non tanto si mira
ad insegnare queste lingue – ciò che del resto sarebbe puerile il pretendere
in un corso limitato ad un anno – quanto a mostrare siccome per il confronto
di esse noi possiamo facilmente risolvere molti problemi intorno alla lingua
nostra, i quali altrimenti non si potrebbero chiarire. Così pure con lo
studio comparativo delle letter. neol. noi miriamo soprattutto alla
illustrazione dei problemi che si presentano principalmente nel dominio
della letter. italiana.
/
Finora si studiarono dell’antichità soprattutto gli scrittori (poeti e
filosofi), e nell’archeologia non si cercò se non un sussidio per intender
meglio gli scrittori. Insomma la letteratura fu studiata più assai delle
arti plastiche.
Ma perché noi studiamo l’Antichità? Per conoscerne la vita. Ora, questa vita
noi moderni donde meglio possiamo imparare a conoscerla? dal lato interiore
o dall’esteriore? cominciando ad osservare tutto ciò che si vede e ch’è
dell’uso comune, o dal comentare (sic.) ciò che ci rappresenta soltanto le
visioni intellettuali di pochi eletti e si svolge nel soprasensibile?
Non si può esitare nel rispondere. Il liceo deve formare uomini, nient’altro
che uomini; deve cioè dare una preparazione da cui l’individuo possa
ugualmente avviarsi a diventare così artista come letterato, così scienziato
come uomo di mondo. Ora questa preparazione si dà malamente se più del mondo
moderno si cerca di far conoscere il mondo antico, e se del mondo antico
invece della vita esteriore e reale ci affatticheremo (sic.) a fargli
comprendere soltanto la interiore e la ideale. In quell’età
impressionabilissima ciò produce quasi sempre uno squilibrio fatale. Si
prende ad ammirare e stimare soltanto ciò che è accessorio nella vita e che
è accidentale, come sarebbe la poesia, e spesso anche si finisce col non
curare più altro e col perdere quindi perfino l’attitudine
dell’osservazione, quell’attitudine che cessa / in noi tostoché cessi
quella svegliatezza per la quale nessun fatto per quanto minimo ci apparisce
indifferente e può passarei (sic.) inosservato.
In interlinea, sopra «confronto» («[...]quanto a mostrare siccome per il
confronto»)è presente la variante «lo studio comparativo». Inoltre, sempre
in interlinea, al di sopra di «comprendere» («[...] a fargli comprendere») è
presente la variante «gustare».
/
Comincia l’A. dall’osservare che fino a poco tempo addietro nella lirica
predantesca si riconoscevano tre diverse scuole; ma che i nuovi studj
portarono a dubitare così della scuola bolognese come della toscana e della
Siciliana. Né egli vuol “contraddire a queste opinioni negative”; bensì
crede che si cada in nuovi errori e più gravi “quando si rinunzi anche
all’origine aulica della nostra lirica culta per ritenere col M. che
gl’incunaboli di essa vadano cercati, anziché a Palermo, a Bologna”. Passando così a parlare della
corrispondenza poetica fra ,
e onde era mossa la ipotesi del Da B. a P., trova “più naturale immaginare” che si
siano conosciuti in Sicilia, perché da due documenti pubblicati
nell’[illeggibile] risulta che Jacopo da
Lentini “nel 1233 era a dirittura uno dei principali notai della Curia
imperiale” e perché Jacopo Mostacci egli lo trova nel 1240 tra i falconieri
imperiali”. Peccato che i documenti qui citati non abbiano date anteriori al
1220! ma per l’autore essi bastano a concludere: “Aulica, cortigiana
ghibellina rimane adunque l’origine della nostra lirica culta. La quale
dalla corte di Federigo e di Manfredi si diffuse però ben presto per tutta
Italia e fu coltivata particolarmente da uomini di legge”.
In interlinea, al di sopra di «riconoscevano» («[...] nella lirica
predantesca si riconoscevano») è presente la variante «designavano».
/
App. Probi 86:
Cluaca non clavaca
cf. clavaca in Marini, PDipl. 48;
Schuch., I, 179.
/
occasio non occansio
App. Probi n°. 123
cf. hoccansione in RSub. p. 112.
/
botruus non butro 127
cf. sard. Butrone
/
fascolus non fassiolus. 141
La forma vera era phascolus, del che il compilatore
già non si ricorda, quantunque di quella forma fosse rimasta la riduzione
passeolus e passiolus, in 27,94 D; e
18,198 e 202; 24,65 D.
Oltre che nell’Appendix, si ritrova in Apic. 5,211. Ma più
comune doveva essere fasiolus e abbastanza antica.
La si ritrova nell’Edict. Diocl. 1,21; 6,33 e 39, e con la forma
mutata, fasiolum in Anthim. 69.
/
pusillus non pisinnus 146
cf. in Diehl, V insc. Pisinus 1088 pitinnus 1544 pusinna
1543.
in Georges LWF. è registrato: pitzinnus (klein), da cui l’a. logud. pithinnu, il neologud. pitsinnu e, per
contaminazione di pik anche tarent. piccinnu.
non sarà da ricollegarvi anche il nap. picciotto?
/
meretrix non menetris 147
cf. nell’a. lomb. Meltris, a. fr. meutris con evoluzione analoga sempre dovuta a
dissimilazione; conf. pure nell’it. gerla e gerna da gerula, movulo e movano da modulus.
/
adipes non alipes 178
App. Probi 178:
Cf. scilium = excidium (Troje) nel cod. Vat.
/
erminomata 190 per ermeneumata
, p. 196, pensa inverisimile la
romanizzazione del ditt. eu. Ma lo Schuchart
(sic.) gli ricorda lo sp. romadizio, il sic. romatico (II, 327), e aggiungerei Oropa (Europa) del nap. Luise
de Rosa (Crest. App.).
/
App. Probi 211: rabidus non rabiosus
cf. fatuosus per fatuus in Bibb. lat. 125
inebriosus per inebrius
ivi
querulosus per querulus ivi
dubiosus per dubius ivi,
127
facundiosus per facundus ivi
/
App. Probi 2/4
grundire non grunnire
it. grugnire e grugnare
aggrondare (ad. grondar
fr. mod.
gronder
a. fr. grondir e grognir
pr. gronhir
sp.
gruñir
port. grunlir
/
nunquam non nunqua
A Probi n. 219
cf. numqua. Hartmann, n. 4.
/
Pridie non pride
App. Probi 223
cf. pride kal. martias. DRossi I, 26 (a. 296)
/
App. Probi, 1:
Porphireticum… non purpureticum, cf. Liber
Pontificalis, ed. :
I,
98: porphyreticis – B’ porfureticis
I, 99: purphhyretico –
porfireticas
, 2832:… revoca me in foro Traiani in
purpuretica…
cf. marsyas non marsuas 17
clamys non clamus
119
timym non tumum 191 (1)
myrta non murta 195 (2)
e vd.
Grand. § 187, Ullm. P. 191
(1) cf. lecc. tumu, sard. merid. tumbu, sp. tomillo port.
tomilho.
(2) cf. it. mortella, sp. port. prov. a. murta, cat. murta, sard.
murta.
/
1. Purpureticum marmur per Porphyreticum marmor (scritto -ur)
Nella prima voce sono da notare : 1. lo scambio di o con u nella sillaba iniziale; 2. lo
scambio di y con u nella
seconda sillaba; 3. lo scambio di ph con p;
La prima alterazione trova riscontro in questo stesso testo da furmica 25 rubigo 187, e
in questa stessa nota ma in sede diversa in marmur, tutte forme dove la vocale oscurata è a contatto di una
labiale. Il fatto è di carattere generale, come osserva il
Gr. § 219 sull’attestazione degli antichi grammatici.
Copiosi altri esempi v. in Seelm. p.
212 e in Schuch. II, 91 e ss. che cita anche da Caper:
pollenta non pullenta (p. 135), opilio non upilio (p. 111) ecc.
L’alteraz. di y in u
ricorre anche nelle note 17 (marsuas p. -sias) 117
(clamus p. clamys)
191 (tumum per ty.) 195
(murta p. my.),
Altri es. in Seelm. p. 221, in Sch. II 253 e ss., ed è illustrata dal Gr. §
187.
/
2 tolonium non toloneum.
giustamente fu corretto in telonium non
toloneum.
La forma greca è τελώνιον. Nei testi latini della Bibbia si alternano le
forme teloneum e telonium. Quella in -eum rappresenta un caso di restituzione
impropria e sopravvisse tuttavia nel sardo teloneu
(Crest. 3,2) di contro al tosc. telonio registr.
dai vocabolarj. Quanto a tol- da tel-, si tratta di una assimil. regress.; altri
ess. per l’it. v. in Crest. § 348; esempi
latini in Seelm. p. 187.
Altri ess. qui di -eu- per -iu- sono
61 ostium non osteum
113 alium non
aleum
114 lilium
non lileum
34 lanius
non laneo
52 dolium
non doleum (siccome corregge, invertendo,
Endlicher)
/
Speculum non speclum. 3
Ci presenta un esempio di sincope d’u un
proparossitono. Esso rispecchia una tendenza che fu assai attiva nel lat. v.
(Gr. 232). Specialmente pel nesso rappresentato da questo esempio v. Gr.
234. È da speclum che muovono le formazioni
romanze it. specchio, prov. espelh, ecc.
Con questa voce vanno aggruppati pure
masclus 4
vernaclus
7
articlus 8
vaclus o baclus 9
iuvenclus 35
oclus
111
anglus 10
iuglus 11
nonché veclus 5
viclus 6
/
calcostegis non calcosteis 12
la parola non registrata dai lessici è tuttora oggetto di disputa fra i
latinisti. Intanto non si può dubitare della sua origine greca e della sua
stretta parentela con calcosteum, che occorre in
un passo di
I, 448
(calcosteum templum).
Per noi basta di costatare che offre esempio di dileguo della gutt. sonora
fra vocali, gutturale che verso il sec. IV diventò palatina o prepalatale
(Gr. 259, ivi altri esempi).
/
septironium non septidonium
cf. baptidiata in DeRossi I, n. 805 (a. 459)
/
serptizonium non serptidonium 13.
lo r fu espunto nelle edd. Foerster ed come semplice errore di trascrizione. Ciò
che va qui notato è il d per z. il fatto si spiega per la pronunzia oscillante che ebbe il
greco zeta nel passare in latino, v. Grandg. § 338. Altri esempi si citano
in Medentius per Mezentius, baptidiare per baptizare, e altri esempi ancora v. in Seelm. p.
324. Su la vera pronunzia di questa dentale v. Gr. § 339.
/
vacua non vaqua 14.
L’u seguito da altra vocale e preceduto da
gutturale perdette presto il suo valore sillabico e si attenuò in
semivocale. Così diventarono bisillabi aqua, qualis, monosill. qui,
quem ecc. L’uso letterario mantenne a
quest’u il suo valore vocalico in alcune
parole, mentre l’uso comune tendeva a livellarle tutte in una stessa
pronunza (sic.). così nell’it. letterario rivisse il lat. lett. vacuo; ma ecus non equus si continua nel femm. prov. ega, nel sard. ebbu, nel
rum. iapa ecc. (v. ML. n. 2883), e cocus non coquus si
continua nell'it. cuoco, ecc. V. Gr. § 223.1)
All’incontro exequiae, sostenuto dal linguaggio
ecclesiastico, fece scomparire il pop. Execiae
23.
1) v. anche Seelm. 351-2
/
cultellum non cuntellum 16.
La forma letter. cult- sopravvisse nell’it. coltello, prov. coltel,
fr. couteau ed altre (v. ML. 2381); ma sopravvisse
anche la prop. nell’agnon. cuntielle, nel
soprassilv. cuntì e in più varietà abruzzesi (v.
5. curtèlle). L’alterazione di l in n è dovuta a una spinta dissimilativa.1) Ed effetto pure di dissimilazione fu la forma
con r, non documentata nel lat. volg. ma che si
ritrova nel rom. cortello, ne cerign. curtiedde, nel veron. cortielo, veglioto cortial, friul. curtiel ecc.
1) Gr. § 289 ecc.
/
marsias non marsuas. 17.
La prima forma doveva essere scritta con y (marsyas); la seconda, con u, va spiegata per il § 187 del Gr., come
già si notò per purpureticum 1.
/
Cannelam non canianus
Nota finora inesplicata. Le congetture le più ardite furono tentate; ma
nessuna fece presa. Chi desideri studiarle veda Foerster p. 295, Ullmann
211, 292, Heraeus p. 4 dell’estr. Per noi basta rilevare che nessuno finora
vi hai (sic.) intravveduto rapporti con succedanei romanzi.
/
Hercules non Herculens
Nella forma riprovata il Gr. § 311 vede un “n intruso”. Altri vi riconosceva
un arcaismo. La questione non c’interessa, perché tale forma non ebbe
continuazione in romanzo.
/
columna non colomna 20.
a questa nota va ravvicinata l’altra
turma non torma 59 e 145
e vi potremo anche ravvicinare il denontio del
Facs. 2, il colonbu del Facs. 3, tutti esempi che
si spiegano per il normale passaggio di u tonico ad o, quando fu
originariamente breve l’u. Gr. § 208. Molti altri ess. di lat. volg. riporta
il Seelm. p. 216; più ancora lo Schuch. II, 149 e ss. Pei riflessi italiani
v. DO. e ML. § 34.
/
facsimili 1, tav. 44. Representazione (sic.)
dell’orifizio del corpo di Cristo. il prete dice:
Ie per me non credo
Che questa açima carne e sangue sia,
per la
parola mia,
la qual ci dico che poss’exir vera.
Anque il
prete:
Questa pur è di grano;
n’abe ricolto nela matre
terri
molte cole mie manu
ie n’aggio cocte facte fra duo
ferri.
molto me par che erri
di credar che divinità descenda
e
carne e sangue prenda
…………………………………….
/
pecten non pectinis 21.
documenta la tendenza, dei nomi a declinazione imparisillaba, a pareggiare le
forme sul tipo risultante dagli obliqui; v. Grandg. § 367.
cf. glis non [glir]is 115
grus non gruis 128
/
aquaeductus non aquiductus 22
Il cambiamento del ditt. ae in i non fu ancora sufficientemente spiegato, v.
Haraeus p. 5.
Intanto vuolsi notare che, ad escludere che si tratti di un semplice svarione
grafico, c’è la forma italiana aquidotto, che
tuttora rispecchia la volgare latina. Inoltre si confronti in questa stessa
serie il n°. 159, ove troviamo terrimotium per terraemotus. Altri riscontri nella scheda A qui
unita.
/
A (supplemento alla nota 22.
aquifuga: Rönsch (da Celio Aurelio, De morbis acut. III,
9, 98; 15,121) p. 85.
aquiducus: R. (da Cel. Aur. Chron. III, 8,119.) p.
228.
Aquilegus : R. (da Tert. Animad. 38) p.
220.
aquilentus: R. (da Varr. ap. Non. 351, 28) p. 139.
aquiminale:
R. (dal Digesto XXXIII, 10, 3 pr.) p. 48.
Aquiminarium: R. (dal Dig.
XXXIV, 2,21,2) p. 36.
aquiminale, aquimanile, aquaemanile, aquaemanalis
in Georges.
il Gradenwitz cita, oltre
aquiminale,
anche:
aquimanilis
aquimanile
aquiminarium
aquipedius
aquipenser
aquivergium
cf.
nell’it. aquiminale
aquidotto ()
aquidoccio
agrifoglio
aquifolio
Aquisgrana
Aquitrino
/
cithara non citera 23.
per la omissione dell’aspirata dopo il t v. Grandg. § 332. Per il passaggio
di a ad e nella penultima sillaba va tenuto conto sia della provenienza
greca (Gr. §38), sia della tendenza generale di cui parla il Gr. quando una
vocale atona si trovi nelle condizioni indicate nel §233. È per questa
stessa tendenza che il fiorentino, e con esso l’it. letterario, ci dà barbero per barbaro, e
gambero, camera ecc.
v. Crest. § 82. Da vedere su citera anche Seelm.
p. 174.
/
Miles non Milex
App. Probi 30:
cf. milex. De locis sanctor. martyr. in , , p.
82, r.13 (5. IX).
/
iuvencus non iuvenclus 35
Continuatori di iuvencus abbiamo nell’it. giovenco, lecc. scencu,
sic. jencu, nap. jenghe;
altri riscontri romanzi in ML. 4641;
ma iuvenclus ancora sopravvisse forse nel levant.
žwenć cit. dal 2 p. 14, e nel pittavino
žencle cit dal ML. 4639.
/
acre non acrum 41
il Georges LWF. registra ambedue le forme con copiosi esempi arcaici e
seriori (col. 8). Si tratta di uno dei soliti spostamenti flessionali. Acrum rimase nel pop. agro, l'acre si ritrova nel letter. acre.
/
pauper… non paupera… 42
il Georges registra con molti esempi tanto la forma sul tipo di 3a. come la
forma sul tipo di 2a. Si tratta dunque anche qui
di un metapl. di declinazione, favorito dall’impulso a una più chiara
distinzione di genere. V. anche Grandg. § 376. Le risposte romanze sono
tutte in relazione col tipo paupera. Solo il
vegliato pauper sembra conciliabile con ambedue i
tipi; v. Bartoli, Dalm. I, 253.
/
App. Pr. 51: catulus non catellus
cf. Vasculum Cic.
Vascellum Bibbia
agnicula
agnellus nei comici
lat.
avicula
avicella Isid.
aucella
Apic.
Due graffe uniscono «Vasculum Cic.» a «Vascellum Bibbia» e «agnicula S.
Ambr.» a «agnellus nei comici lat.».
/
App. Pr. 52: doleus non dolium
corr. dolium non doleus e cf.
/
App. Pr. 53: calida non calda
cf. 54: frigida non fricda
3 speculum non speclum
4 masculus non
masclus
5 vetulus non veclus
6 vitulus non viclus
7 vernaculus
non vernaclus
8 articulus non articlus
9 baculus non vaclus
10
angulus non anglus
11 iugulus non iuglus
111 oculucs non
oclus
130 tabula non tabla
134 fax (e facula) non facla
142
stabulum non stablum
167 capitulum non capiclum
83 auris [auricula]
non oricla
171 neptis [nepticula] non nepticla
172 anus [anucula]
non anucla
200 tribula non tribla
215 vapulo non baplo
201
viridis non virdis
35 iuvencus non iuvenclus
/
App. Pr. 55: vinea non vinia
cf. 63: cavea non cavia
65: brattea non brattia
66: cochlea non
coclia
67: cocleare non cocliare
68: palearium non paliarium
72
lancea non lancia
80 solea non solia
81 calceus non calcius
117
tinea non tinia
132 balteus non baltius
157 linteum non
lintium
/
App. Pr. 56: tristis non tristus
cf. 99 = palumbes non palumbus
119 = clamis non clamus
/
App. Pr. 57: tersus non tertus
tertus non era un mero volgarismo, ma un arcaismo e
ricorre con esempi di
169
/
App. Pr. 58: umbilicus non imbilicus
/
App. Pr. 59: turma non torma
cf. 20: columna non colomna
177: coluber non colober
/
glovus non glomus 71
glovus cioè globus
sopravvisse nel letter. globo.
glomus rimase nel pop. ghiomo it. giomo trent. gloms prov. Così pure la forma risultante dagli
obliqui glomer- restò all'it. gnomero, tarant. gnuemmiru, nap. gliommere, calabr. giombiru, sic. giommaru.
cf. MLübke
n. 3801.
/
favilla non failla 73
Benché molti i casi del dileguo di v tra vocali, al Gr. 324 sembra
eccezionale questo di failla. Esso può trovar
ragione in una spinta a dissimilare le due labiali f-v. Failla si ritrova in più di un cognome; così anche Faella, che probabilmente risale allo stesso
etimo.
/
ansa non asa 76
Si tratta del normale dilegue di n av. s, Gr. § 311. La forma rifiutata vive
in molti dial. ital.: asa aquil. calabr. logud.;
aza lomb. veron. Ecc. Altri es. cita il MLüb.
N. 490.
/
flagellum non fragellum 77
è un altro caso di dissimilazione, come notava già il Gr. § 2892.
L'it. flagello è forma letteraria; il romanesco ha
fragello, il sic. il sard. fragellu ecc.
/
Calatus non galatus 78
Nessuna delle due forme sopravvisse in romanzo. Tuttavia per noi la seconda
forma è interessante, perché ci offre un altro esempio di ga- per ca-. Già
si citava gammarus per cammarus, it. gambero; tosc. gattivo per cattivo,
lat. captivus, e qualche altro. Galatus del resto si trova, non fosse altrove, fra
le carte sutrine del sec. X.
/
digitus non dicitus
Lasciando da parte quel che riassume sull’argomento lo Heraeus, io non so
vedere qui se non un caso di alterazione ascendentale, come altri se ne
verificano specialmente intorno a Roma. In una tabella
definictionis trovata a Mentana (, p. 191)
si legge:
Malcio nicones oculos
manus dicitos bracias
ecc. defico (=
-figo).
in altra trovata a Minturno (Audoll.
P. 249):
…, dii iferi, vobis
come[n]do ilius memra, colore,
ficura, caput,…
fulmones,
itestinas, vetre, bracia, dicitos..
…
/
camera non cammara 84
La forma più vicina alla greca era camara che non
manca nel lat. arc., v. Georges, LWF. ma più consentanea al fonetismo romana
(sic.) era camera che appunto prevalse nell'uso
letterario. Camera ritroviamo nel fiorentino e
nell’uso letterario odierno. Cammara e cammora ritrovansi in più varietà
centro-meridionali, onde poi anche camorra
attraverso incamarare, incamorare. Per lo spostamento dell’accentuazione greca v. Gr. §
145.
/
auris non oricla 83
La forma sopravvissuta è oricla, che si ritrova
nell'it. orecchia, prov. aurelha, ecc. v. in ML. n. 793.
E si tratta di un altro caso di forma semplice sostituita da diminutivo; Gr.
§13. Per l’au in o v.
ivi § 212 e 229 7.
/
pegma non peuma
nessuna delle due forme sopravvisse in romanzo. Tuttavia esse hanno
importanza per noi, perché documentano con un altro esempio la risoluzione
del gruppo consonantico gm, che trovavasi in sagma
indi diventato sauma, salma
soma. 1)
Cf. smaragdus prov. esmeraude, it. smeraldo ecc; fraumenta = fragmenta in
ML. Lat. Spr. p. 472 in Gr. § 268.
1) di sauma per sagma
l'esempio più antico citato era d'Isidoro, perciò del sec. VI.*