Onorato e caro collega; di ritorno da una breve escursione, leggo la sua lettera del 16, che è degna di Lei. Ed è superfluo dire, che in massima io non dissento dal parere Suo ed anzi mi sarebbe di grande consolazione l’uniformarmici; ma devo pur pregarla che voglia ascoltare qualche obiezione che per ora m’insorge
Il , che io aveva ripetutamente esortato a prosciogliere il da ogni impegno con lui contratto, tacque a lungo e più per telegrafarmi, il 12 di questo mese, da San-Piero-a-Lieve [sic: San-Piero-a-Sieve], quanto segue:
= vostre lettere, telegramma, giacinti, mia assenza Bologna. Prememi anzitutto giustificare ritardo. _ Scriverò. =
Era egli in campagna o diretto a Bologna:
= Pregovi non iscrivermi. Il protocollo è per me assolutamente chiuso. =
Dal Ministero, nulla io più riseppi, e tanto meno dal . Quale è dunque la mia posizione? Il sa che io mi sono ritirato dalla che gli era stata d’accordo proposta, e che appunto mi ritiravo, o ci rinunziavo, perché egli s’era obbligato a intrudervi il , obbligo di cui ho motivo di crederlo pentito.
Egli forse esita ancora. E se noi intanto, ribellandoglisi in qualche modo, tentassimo di far senza di lui, in che cosa veramente riusciremmo? Occorrerebbe, in primo luogo, un nuovo consentimento dei membri della , e chi lo sollecita e con quanta speranza? Ma occorrerebbe soprattutto una gagliarda cooperazione della , e chi la sollecita e con quanta speranza? La lotta con il Ministero importerebbe d’altronde la perdita assoluta d’ogni contributo erariale, e ce ne deriverebbe una responsabilità tutt’altro che lieve.
Eccole, in breve, le mie difficoltà, e sarei ben lieto se Ella finisse di persuadermi che sieno illusorie. Intanto le chiedo scusa della sconnessione con cui mi tocca di scriverle e sono, col sentimento ch’Ella sa,